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martedì 27 ottobre 2015

Peppe e il socialismo



Peppe era un omone che faceva l’elettricista. Peppe era socialista dalla nascita, figlio di un socialista storico del paese che fu amico del senatore repubblicano padre della patria e costituente. Certo che, negli anni in cui è ambientato questo aneddoto, non era propriamente a suo agio tra i craxiani, ma lui il garofano lo aveva nel sangue e non poteva lasciarlo, Craxi o non Craxi. Così rimase socialista anche quando il partito deviò verso un certo liberismo che poco si sposava con tutto ciò a cui credeva Peppe.
All’angolo di piazza Mazzini c’era la sezione socialista e, due porte dopo, quella del Partito Repubblicano di cui ero stato da poco eletto segretario cittadino. I due partiti avevano governato il paese insieme per tutti gli anni ottanta ma, già nel ’90 vicende politiche complicate avevano fatto sì che si ritrovassero uno in maggioranza e uno all’opposizione. Così, considerandosi vicendevolmente non proprio dei traditori ma qualcosa di simile, ci si guardava un po’ storto e, quando capitava che ci fossero delle riunioni concomitanti, nonostante la vicinanza delle sedi, ci si evitava come la peste.
La sezione repubblicana aveva in vetrina un’insegna luminosa quadrata con rappresentata l’edera che, però, non si accendeva più da tempo immemorabile perché c’era un contatto che non funzionava da qualche parte e nessuno sapeva metterci le mani. Una sera che ero solo fuori della sezione ad aspettare che arrivassero gli altri del direttivo per iniziare la riunione passò Peppe che disse: “Ma di che razza di partito scalcinato ti sei fatto eleggere segretario che manco vi funziona l’insegna”. In effetti, la loro, fatta come la nostra ma raffigurante il garofano, era bella e accesa tutte le sere. Risi e risposi che non funzionava e che non potevo farci nulla. E Peppe: “famme vedè” ed entrò nella sezione “nemica” estraendo dalla tasca posteriore dei jeans un piccolo cacciavite. Si mise ad armeggiare con la spina e la presa, smontò il tutto, lo rimontò e, in men che non si dica, l’edera brillava né più né meno come il garofano poco più avanti. Ero un po’ confuso perché non mi aspettavo un intervento tecnico gratuito ed estemporaneo da parte di un nemico socialista e dissi a Peppe che non sapevo come ringraziarlo. Egli, con la faccia imperturbabile che lo contraddistingueva e la sua voce ben impostata rispose: “Vedi? Questo è quello che intendo io per socialismo”.

Luca Craia

mercoledì 7 ottobre 2015

Chi se lo ricorda Enzo?



Enzo “lo vigliettà” era un personaggio, uno di quei personaggi che incontri nell’adolescenza e te lo porti a spasso nei tuoi ricordi per tutta la vita, con un’immagine nitida e netta che sembra tu non lo veda solo da ieri mentre sono passati decenni. Enzo era un omone corpulento che faceva i biglietti sulla corriera di Cardinali della tratta Fermo-Macerata negli anni 70/80. Ebbene sì, a quell’epoca i biglietti non si facevano a terra ma a bordo, e c’era il bigliettaio da cui comprarli.
Pelato e piuttosto pasciuto, sguisciava atleticamente tra i passeggeri accalcati come sardine in scatola in quella corrieretta blu vecchia di cinquant’anni che ci portava a scuola, per controllare biglietti e abbonamenti. Era un burbero buono, un antipatico puro, di quelli che, alla fine, fanno tutto il giro e diventano simpatici. Implacabile nel marcare e, a volte, placcare chi non rinnovava in tempo l’abbonamento mensile, tutore dell’ordine inflessibile che manteneva a suon di sganascioni e sonore scoppole, era per noi tutti spauracchio e punto di riferimento, persona con cui farsi una sana chiacchierata e severo censore quando ti comportavi male. Una specie di babbo provvisorio con grembiule marroncino. Certo che, oggi, uno che menasse le mani coi ragazzi come faceva Enzo farebbe quantomeno un altro mestiere ma, allora, se ti prendevi un caracca da Enzo, si vede che te la meritavi: te la tenevi e zitto.
Comunista di chiara fede e pugno alzato, maceratese doc, guidava una 850 marroncina (in tinta col suo grembiule liso ma sempre immacolato) dotata di impianto a metano, il che significava che le bombole, data l’assenza, su quella vettura, di un portabagagli che si potesse definire tale, erano poste sui lati del tettuccio. Così noi, tanto per prenderlo un po’ in giro e rischiando uno sganassone, dicevamo che sul tetto aveva i missili nucleari sovietici e che, prima o poi, gli Americani lo avrebbero bombardato.

Luca Craia

Tempo



La mattina, in macchina da soli, si guarda la strada, si evita di farsi venire addosso dalle persone che ancora credono di stare nel proprio letto e non hanno realizzato di essere già sulla strada del lavoro, si ascolta musica, magari si raglia cercando di cantare a nostra volta, si guarda il panorama, le luci, i colori del nuovo giorno e ci si immagina un po’ come sarà. E poi si parla con se stessi e si pensa. Stamattina pensavo a mia figlia che, prima di salutarmi per prendere la corriera che l’avrebbe portata a scuola, mi ha chiesto che ora fosse. E io le ho risposto: le 6:52. E lei ha capito che era in perfetto orario. Da lì mi è venuto netto e nitido il ricordo di mia nonna, che alla richiesta dell’ora, rispondeva “le sei e tre quarti”. E lo rispondeva sia che fossero le 6:45, che fossero le 6:42 o che fossero le 6:47. Erano comunque le sei e tre quarti perché, un tempo, e poco tempo fa, non contavamo i minuti, contavamo i quarti d’ora. Non eravamo, almeno noi di provincia, pressati dal tempo. Non perché non ci fossero orari da rispettare, ma perché avevamo tempo e lo usavamo con sapienza. Se avevi un appuntamento partivi per tempo, e non dovevi contare i minuti per vedere se arrivavi in anticipo o in ritardo: arrivavi in anticipo. Punto. E i ritardatari arrivavano in ritardo. Punto. Se la corriera per andare a scuola partiva alle 7:00 uscivi di casa non alle 6:55 ma per tempo, semplicemente per tempo. Erano le sei e tre quarti ed era ora di uscire di casa e andare a prendere la corriera. E se, di queste sei e tre quarti, eri nella parte precedente, in quei cinque minuti che anticipano la linea tra il prima e il dopo, saresti arrivato in anticipo. Se eri in quelli successivi arrivavi appena in tempo, Ma arrivavi, per tempo e senza angosce.

Luca Craia