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martedì 9 febbraio 2016

Razzista sarà lei



Quando mi si dà del razzista mi si offende profondamente, per la mia storia e per il mio essere uomo. Oggi, però, essere accusati di razzismo è semplice, basta non allineare il proprio pensiero a quello massificato e massificante voluto dal vero regime della finta sinistra, che ci vorrebbe tutti buoni, santi e con le case aperte agli stranieri solo per agevolare loschi traffici di un nuovo schiavismo sponsorizzato da Stati e Nazioni moderne. A questo punto preferisco tenermi l’epiteto piuttosto che adeguarmi alla massa. Ma voglio spiegare perché.
Sono per l’accoglienza. Nel senso che ritengo sia giusto che chi più possiede debba aiutare chi ha difficoltà pesanti. Aiutare, però, non significa rinunciare a se stessi e a ciò che si possiede. Non significa certamente rinunciare alla propria cultura per rispetto di chi viene ed è ospite. E non significa togliere sostanze alla propria gente per darne a chi ospitiamo. Questo è quello che sta accadendo oggi in Italia. Questo è razzismo e genera razzismo.
Oggi in Italia lo straniero in difficoltà ha molte più probabilità di ricevere aiuto e sostegno di un Italiano in difficoltà e questo non è giusto. Non solo: è pericoloso. Paradossalmente danneggia lo straniero. Genera risentimento e un risentimento motivato che viene diretto verso lo straniero e non verso chi legifera sbagliando. Ma il problema non è soltanto relativo al trattamento sociale, ma coinvolge numerosi aspetti del vivere civile rendendo difficile la convivenza.
Mancanza di controlli, agevolazioni economiche e disparità di trattamento sono solo parte del problema. C’è la questione legata all’identità culturale, dove la politica che si sta adottando sta andando nella direzione di sacrificare la nostro a favore di quella degli altri. Così assistiamo alla creazione di corsi di arabo per arabi dai quali sono esclusi gli Italiani, a iniziative che costano tempo, impegno e denaro per promuovere l’integrazione ma che provengono sempre e solo da una direzione, la nostra. Siamo preoccupati per l’integrazione razziale mentre i nostri ospiti non se ne preoccupano affatto perché, in realtà, non gli serve, stanno bene così.
Questo è razzismo, perché crea davvero spaccature serie e difficilmente sanabili. È un razzismo di stato, mascherato da buonismo, che se da una parte aiuta lo straniero, dall’altra lo danneggia pesantemente, impedendogli la vera e reale integrazione che passa attraverso l’adeguamento dell’ospite alle regole della casa ospitante e non viceversa.
Creare case popolari che diventano ghetti è razzismo. Lasciare che le aziende cinesi facciano concorrenza sleale a quelle italiane è razzismo. Creare iniziative a sostegno delle famiglie straniere e niente per quelle italiane è razzismo. Aprire le scuole per fare corsi di arabo mentre per gli Italiani non c’è nemmeno la possibilità di usare gli impianti sportivi pubblici è razzismo. Aprire le porte del nostro Paese a una immigrazione incontrollata solo per lucrarci sopra con la santa benedizione dello Stato è razzismo. L’integrazione passa solo attraverso l’assoluta parità, ma con bene in mente che le regole debbono essere di chi ospita e non dell’ospite.

Luca Craia

lunedì 11 gennaio 2016

Integrazione e volontà di integrarsi. Lo sforzo tocca allo straniero.



Se ne parla davvero troppo poco ma il fatto è gravissimo. Mi riferisco alle violenze sessuali, perché di quello si tratta, non d’altro, perpetrate da arabi contro donne occidentali in Germania. È l’ennesima dimostrazione di quanto le nostre culture siano lontane e difficilmente conciliabili, specie in un momento in cui le tante comunità musulmane sparse in Europa dovrebbero compiere sforzi nuovi e profondi per convincerci della possibilità di integrazione tra le nostre civiltà.
Ed è proprio questo il punto: non dobbiamo più essere noi i promotori di iniziative dirette all’integrazione. Non dobbiamo essere noi a cercare l’incontro. Noi abbiamo già dato loro la possibilità di entrare in casa nostra, usufruire delle nostre strutture, lavorare nelle nostre imprese. Noi abbiamo già dato loro la possibilità di divenire cittadini italiani. Ora tocca a loro avvicinarsi e rinunciare a parte della loro cultura per adeguarsi (ripeto, adeguarsi) alla nostra, come dovremmo fare noi se andassimo nei loro paesi per viverci.
Invece, con le dovute eccezioni, ben inteso, il messaggio che arriva è ostile e, se nelle iniziative che spesso prendiamo per cercare di conciliarci traspare una volontà di avvicinamento da parte loro, poi nella vita quotidiana questo avvicinamento non è così forte, tutt’altro.
L’integrazione è possibile solo se gli stranieri vogliono davvero integrarsi e se sono disposti ad adeguare la loro cultura a quella del Paese che li ospita. Non è pensabile che il Paese ospite debba modificarsi culturalmente per favorire l’integrazione degli stranieri. Quando invece assistiamo ad atti gravissimi come quelli delle cronache recenti capiamo che siamo davvero lontanissimi dalla possibilità di integrare la cultura araba alla nostra.

Luca Craia

mercoledì 30 dicembre 2015

Le culture si integrano lavorando insieme. L’esempio di Assan



C’è una piccola storia tra le tante piccole storie che, insieme, hanno costruito quello splendido mosaico di fede, tradizione e cultura che è stata l’esperienza del Presepe Vivente di Montegranaro. Una piccola storia di come le cose migliori si realizzino in maniera naturale quando si incontrano persone di buona volontà e cuore aperto. E questo supera le ideologie, le strumentalizzazioni, i proclami. Sono le persone a incontrarsi e a scambiarsi cultura ed esperienza. E anche questo è Natale.
Assan è un ragazzo magrebino che vive a Montegranaro da anni. Assan vive nel centro storico dove si è perfettamente integrato con i suoi vicini, è benvoluto da tutti e va d’accordo con tutti, nei limiti delle possibilità umane. Assan lo riconosci perché sorride: sorride quando parla, sorride quando lavora il legno. Ed è anche bravo a lavorare il legno.
Assan è uno di quelli che hanno realizzato il Presepe Vivente di Montegranaro. Non è cristiano ma fa parte di questa comunità e lo ha capito. Lo ha capito meglio di tanti che vi appartengono di diritto, per nascita, per cittadinanza. Lui appartiene alla comunità cittadina di Montegranaro perché ne ha fatto la propria casa e ha scelto di vivere qui, con la sua cultura, rispettando la nostra e cercando di essere uno di noi.
Per questo Assan ha lavorato come un matto per fare insieme a noi il Presepe Vivente. Non ci ha guadagnato niente, se non la nostra stima e il nostro affetto. Assan è uno di noi. Anche a questo serve fare comunità: dare l’opportunità a chi vi vuole appartenere di dimostrarlo.

Luca Craia