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giovedì 4 giugno 2015

AGGUATO RAZZISTA A ROMA. ‘SPORCO RUMENO, VATTENE VIA. E GLI AMPUTANO DUE DITA - DI ANNA LISA MINUTILLO




Che brutta storia, brutta quasi come le persone che stiamo diventando, brutta come la solita guerra fra poveri in cui ci stanno lentamente trascinando, brutta perché poco ha a che fare con la vita, la tolleranza, la condivisione, brutta perché mi fa paura pensare ad un mondo così, un mondo che giorno dopo giorno diventa proprio come non lo vorrei e mi fa male e mi ferisce viverci in un mondo così. Lo Rincorrono in strada , in pieno giorno, urlando insulti e minacciandolo di morte, fino ad assalirlo con un coltello e ad amputargli due dita. «Sporco rumeno, vattene via», gli hanno gridato, durante un raid razzista avvenuto a San Giovanni, dietro a piazza Tuscolo, davanti agli sguardi terrorizzati dei passanti. «Sembrava di essere in un film horror», hanno riferito dei testimoni oculari: «Quell’uomo aveva le mani insanguinate e scappava da un branco inferocito e impazzito».
Protagonisti dell’assalto sono tre giovani romani, che, secondo gli inquirenti sarebbero vicini agli ambienti della destra estrema e che ora si trovano in stato di arresto con l’accusa di tentato omicidio, lesioni gravissime, resistenza a pubblico ufficiale e violazione della legge Mancino. Tutti sono risultati positivi ai test per la cocaina e i cannabinoidi.
Il racconto dei fatti sarebbe imbarazzante se non fosse vergognoso: i tre, probabilmente alterati dalla droga, hanno iniziato a insultare senza motivo l’uomo, un 33enne rumeno, urlandogli: «Te ne devi andare via, sei uno sporco immigrato, non ti vogliamo in Italia». Lui non avrebbe reagito, ma questo non è bastato: lo hanno inseguito brandendo cocci di bottiglie fin dentro una panetteria, dove l’uomo si è chiuso nel bagno
La vittima si è dapprima fermata a bussare alla caserma dei carabinieri, chiedendo aiuto, ma visto che gli aggressori si avvicinavano minacciosamente ha continuato la sua fuga, riparandosi in una vicina panetteria. «E’ corso dentro e si è chiuso in bagno» Dopo aver afferrato un coltello dalla lama lunga, utilizzato dai panettieri, hanno buttato giù la porta. E proprio mentre cercavano di colpirlo alla gola, evidentemente per sgozzarlo, gli hanno amputato parzialmente due dita.
Uno di loro ha confessato l’aggressione xenofoba, vantandosene davanti a tutti: «Sono stato io a tagliargli le dita», ha detto il giovane, che era visibilmente alterato dalla droga assunta. Accade a Roma, potrebbe accadere a Milano, a Bologna ovunque, avrebbe potuto avere un epilogo ancora peggiore questo gesto, non fa bene a nessuno ne a chi lo ha compiuto e nemmeno a chi lo ha ricevuto e poi ci sono le opinioni delle persone che mi lasciano mille domande irrisolte. In molti ormai pensano che chi scrive sia solo un “servo ”comandato a bacchetta da qualcuno per raccontare solo episodi lieti senza rendersi nemmeno conto di quanto sia difficile cercare di dare una visione di questo mondo come qualcosa in cui sperare ancora, in cui investire ancora .
Lo si fa come lo si riesce a fare, a volte incavolandosi e molto anche, a volte andando contro le “regole”, a volte rischiando in prima persona per l’esporsi affrontando anche temi scomodi di cui sarebbe meglio per qualcuno tacere.
Rifletto e penso che parta tutto proprio da questo: che a volte chi si indigna perché non si parla abbastanza o come si dovrebbe parlare , poi non si renda conto di essere caduto in questa trappola del cattivo giudizio e della superficialità esattamente come accade per quelle persone che incitano al razzismo ,all’omofobia, alla cattiveria gratuita e non richiesta, quelle persone piccole che aprono bocca solo per farle prendere fiato ed il più delle volte senza fermarsi a riflettere sulle conseguenze che alcuni gesti ed alcuni giudizi potrebbero poi scatenare.
Che mondo stiamo creando? Quale sarebbe questa intelligenza che spesso non accompagniamo dall’umiltà virtù basilare per chi si professa intelligente?
Quale futuro ci stiamo preparando a vivere? Pensare ad un mondo dove si organizzano raid razzisti non mi piace affatto, pensare ad un posto dove i colori della diversità diventano pretesti per attaccare in modo gratuito chi per timore vediamo diverso da noi mi inquieta e molto.
Pensare ad un mondo dove stiamo diventando sempre più timorosi e meno curiosi mi da la misura della pochezza che nostro malgrado siamo chiamati a vivere .
Ora mi piacerebbe capire chi lo spiega a chi predica bene e razzola male che anche noi italiani siamo caduti in questo brutto gioco che poi gioco non è.
Non siamo migliori di nessuno fino a che compiamo gesti così, fermiamoci a riflettere a volte prima di parlare a vuoto.

lunedì 11 maggio 2015

QUANTO VALE IL NOSTRO TEMPO? DI ANNA LISA MINUTILLO



Ogni giorno ci misuriamo con la tecnologia che ci rapisce con le sue mille applicazioni, con tutte le innovazioni e le espansioni della realtà a cui immancabilmente ci sottopone.
Molto bello avere a che fare con oggetti che ci mettono in contatto con il mondo, che ci fanno interagire e molte volte accorciano le distanze e sono anche indiscutibilmente utili ma esiste un ma... ci siamo interrogati qualche volta sulla quantità di tempo che ci viene “rubato” ?
E’ una sorta di complotto , forse veniamo privati del tempo in modo da non poter pensare, veniamo rapiti dalla tecnologia a scapito dei nostri liberi pensieri, ci ritroviamo tutti racchiusi in sistemi più grandi di noi che continuano a sfuggirci di mano, piccole marionette a cui vengono mossi i fili da qualche regista che nascosto ( e nemmeno molto)ci priva della nostra libertà di analisi, di sintesi, di pensiero e chi ancora ha il coraggio di ribellarsi a questo sistema preordinato viene visto in malo modo.
Sei out se non ti adegui, devi correre sempre e comunque, devi essere smart and easy, devi esprimerti con termini che poco ti appartengono perché devi dimostrare di avere la mente aperta senza pensare mai che in questo modo di voli della mente se ne riescono a compiere davvero pochi.
Ci si illude di conquistare tempo e libertà ma alla fine le cose non stanno propriamente in questo modo, si è persa la lentezza che non è sinonimo negativo ma che racchiude in se la cura per le cose che si fanno ma anche per le cose che si osservano e forse le cose non si osservano nemmeno più, una “sbirciata” veloce giusto per avere un accenno del contenuto, ma guai a porsi qualche domanda in più nell’era del chi meno sa meglio sta.
Si corre al punto di perdere il gusto nell’assaporare anche un semplice caffè, ci si sente persi quando non funziona whatsapp oppure quando non abbiamo a disposizione la presa di corrente per ricaricare il nostro ponte con il mondo, diventiamo irascibili e non ci fermiamo mai a pensare: cosa facevamo prima di tutta questa involuzione?
Siamo ancora capaci di ritagliarci un angolo di mondo solo per noi? Siamo capaci di chiedere ad una persona: ”come stai?  “Essendo realmente interessati a ricevere una risposta? Siamo capaci di fermare il mondo intorno a noi quando siamo avvolti in un abbraccio… ma soprattutto, riusciamo ancora a donarlo un abbraccio?
Domande di per se banali le mie e in un certo qual senso di alcuni di questi mezzi sono “vittima consapevole “anch’io anche se ho sempre cercato di non perdere mai il contatto con la realtà, lo spirito di osservazione, l’incanto che ancora un fiore colorato anche a Milano è in grado di donare.
Mi capita quotidianamente di scontrarmi con quanto siamo assorbiti dall’isolamento volontario, mi capita di vedere come ci comportiamo quando attendiamo un mezzo pubblico per non parlare di quando ci si sale sopra, ognuno perso nel nulla delle conoscenze virtuali, ognuno con un occhio allo schermo del cellulare e le orecchie in ascolto della telefonata che si svolge intanto che si chatta quasi come se il mondo si fermasse se in quel dato momento non riuscissimo a compiere queste operazioni.
E noi dove ci siamo persi? Non riusciamo ad andare oltre lo schermo siamo insicuri e non riusciamo nemmeno a troncare una relazione comunicando ciò che non proviamo più o semplicemente ciò che è cambiato in noi e pensare che occorrerebbe davvero così poco per lasciar parlare la mente ed il cuore.
Ci siamo dimenticati o sono riusciti a farci dimenticare la bellezza di alcuni piccoli momenti o di alcuni piccoli particolari, sono riusciti a renderci tutti uguali uniformati nel vestire, nell’espressione, silenziosi servitori della tecnologia a dispetto della qualità del nostro tempo.
Il tempo è il regalo più importante che possiamo fare alle persone ed è anche il regalo più importante che possiamo fare a noi stessi.
Impariamo a riprenderci le nostre coscienze e le nostre conoscenze ,non smettiamo di essere curiosi ed incuriositi dalla vita, non perdiamoci lo spettacolo che la vita ci offre e soprattutto non rendiamoci complici di un sistema che ci ha dimenticati dandoci l’illusione di poter governare tutto con un click.
Solleviamo gli occhi dagli schermi e ricominciamo ad ascoltare le nostre emozioni e le nostre sensazioni, ricominciamo a parlare con le persone, riscopriamo la magia di un alba o di un volto che si staglia a pochi centimetri da noi, non proviamo vergogna per avere ancora delle cose da dire, da condividere, da donare proviamola piuttosto per l’esserci dimenticati di noi esattamente come ci hanno portato a fare, indietro non si torna ma si può andare avanti mettendoci il cuore ed abbandonando i link precostruiti che parlano per noi usiamole queste meravigliose parole ed usiamola questa testa che abbiamo la grande fortuna di avere, lasciamo tracce di noi per arrivare agli altri, per tornare lentamente a sentirci vivi .

sabato 2 maggio 2015

UN CERCHIO DA CHIUDERE di ANNA LISA MINUTILLO



Ci sono vite che si snodano attraverso storie talmente belle da sembrare romanzi creati per le grandi occasioni .
Ci sono vite che anche se particolarmente elaborate arrivano ad un lieto fine , ci sono vite trafficate di emozioni che non riescono ad arrivare, ci sono vite per figli di serie A e figli di serie B .
Esiste il diritto a generare vite senza poi sentirsi in dovere di riconoscerle , esistono situazioni che realmente impedirebbero ad una madre di diventare madre e di assumersi la responsabilità di crescere un figlio, molte volte dipende dalla situazione economica in cui si versa, altre (come accadeva fino a pochi anni fa) sono dovute magari alla giovane età di chi sta per diventare mamma ..le chiacchiere nei piccoli paesi sarebbero insostenibili , l’immagine ne uscirebbe lesa ed allora si interviene a gamba tesa e si decide di allontanare queste figlie dalle proprie case , di mandarle a partorire lontano per poi far abbandonare il frutto di un amore che amore non può continuare ad essere perché qualcuno ha deciso che debba essere così.
Si avvicina la festa della mamma , e come sempre piuttosto che incunearci tutti in qualche evento precostruito sarebbe il caso di spendere qualche attimo a riflettere per cercare di comprendere cosa accade davvero quando ed a chi la parola mamma la può collegare solo ad un’icona ,ad un simbolo etereo poiché la mamma biologica non è mai riuscito a vederla ne a sapere chi possa essere in realtà.
Viviamo in un mondo che troppe volte si dimentica di prestare attenzione a questioni realmente importanti e questo accade la dove non vi siano forti interessi economici e di rientro in immagine aspetti che spesso sono correlati fortemente fra loro , difficile vedere qualcuno che aiuti alla verità se questa prima non porta rientro nelle tasche di terzi.
Questa è la storia di Maria Pia Orsinelli una donna di 53 anni venuta a conoscenza di essere stata adottata all’età di 5 anni.
La sua è stata una vita abbastanza serena ,inserita in una famiglia che l’ha cresciuta non facendole mancare amore ed attenzioni fortunatamente ,una vita dove anche gli amici si sono potuti definire tali, ma anche una vita dove l’adozione veniva considerata come un tabù e quindi meno se ne parlava e meglio era.
In questo modo i compagni di classe ,le varie amicizie non essendo a conoscenza di questo aspetto di vita privata andavano avanti a comportarsi ed a considerare i figli adottati come compagni ed amici “normali” alla loro stessa stregua ,altrimenti si sa a quell’età si può diventare anche cattivi e fare molto male con domande e commenti poco graditi , una vita che trascorre lieta quella di Maria Pia perché le persone non sanno.. una vita non vita, una vita in ombra di cui nessuno (eccetto la cerchia dei parenti) sa ma con la quale i diretti interessati si ritrovano a fare i conti ogni giorno .
Il rispetto per i genitori adottivi che vivono l’adozione come una “colpa” per doversi giustificare agli occhi della società di non essere stati in grado di generare loro delle vite , la paura anche di sapere perché non si è stati riconosciuti , la curiosità di dare risposte a tante domande scatta quando meno te lo aspetti ,è qualcosa che ti porti dentro e che continua a girarti in testa.
Per Maria Pia è andata proprio così: ad un certo punto della sua vita, dopo la morte della mamma adottiva per non sminuire il ruolo che questa donna ha avuto nella sua vita , è capitata sul web ed ha iniziato a “frequentare” gruppi di auto-aiuto dove ha trovato persone che vivevano la sua stessa situazione, le si è aperto un mondo ed ha capito che li non correva il rischio di parlare e non essere compresa ma che tutte le persone presenti avevano le stesse volontà, la stessa voglia di trovare delle risposte alle loro domande e questo l’ha sicuramente rincuorata ed anche resa più determinata nella sua ricerca.
Maria Pia è giunta fra le accoglienti braccia del Comitato Nazionale per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche , nato a Napoli nel Giugno del 2009 senza nessuno scopo di lucro che cerca soltanto con qualunque iniziativa di abbattere la legge che vieta ai figli non riconosciuti ed adottati di venire a conoscenza della propria madre biologica prima dei 100 anni in pratica di eliminare l’irreversibilità dell’anonimato.
Si devono creare questi comitati poiché come sempre in questo paese si accumula soltanto rabbia e delusione dei cittadini da parte delle istituzioni e non si può restare a guardare la vita incompiuta scorrere troppo velocemente a volte.Ascolto il racconto di Maria Pia ed intanto che le sue parole si susseguono penso se questa cosa fosse accaduta a me? Se fossi stata dall’altra parte della barricata ? E come sempre mi sento piccola cosa al cospetto di chi con determinazione sta cercando delle risposte alle sue domande ,io che vivo sempre di domande a cui cerco di dare delle risposte.
La mia mente spazia ed inizio a pensare :esiste una legge che vieta ( per tutelare la madre biologica) di venire a conoscenza di chi questa possa essere ma dopo 100 anni non solo si corre il rischio che la persona adottata sia in vita , ma sicuramente non potrà esserlo chi l’ha generata questa vita .In effetti l’articolo 28 della legge 184 vieta a vita che si venga a conoscenza dell’identità della madre biologica .
E nel mezzo quanta vita ci si perde? Di quante relazioni interpersonali ci si deve privare? La madre biologica che spesso non ha colpa di questo abbandono di un figlio non riconosciuto quante volte cercherà nello sguardo delle persone che incontra gli occhi di un figlio di cui non ha saputo più nulla? E se poi magari avessi dei fratelli? Se da qualche parte del mondo ci fosse qualcuno che ha il mio stesso sangue che scorre nelle vene e si facesse oltre al danno la beffa di non poter in qualche modo relazionare nemmeno con loro?
La mia mente corre veloce intanto che Maria Pia si racconta e viene riportata alla realtà dalle sue parole “esigenza di chiudere un cerchio” effettivamente è così penso , poiché la propria identità in questo modo è incompiuta ,non si ha una collocazione territoriale incalza Maria Pia , non ci si riesce a dare una risposta alla proprie passioni ,ai propri interessi perché non si conosce la provenienza di queste particolarità e cosa molto importante si nega anche il diritto alla salute .
Non si può fare anamnesi ,non si può fare prevenzione e non si sa quali patologie a carattere ereditario si possano essere trasmesse a noi adottati , e quali e quante delle stesse a nostra volta abbiamo potuto trasmettere ai nostri figli prosegue Maria Pia:” se vengo ricoverata e mi viene chiesto se in famiglia vi sono stati casi di qualche malattia il più delle volte la mia risposta è :”non lo so” e il fatto che la legge non consenta di ricevere alcune informazioni a riguardo della madre biologica diventa una vera e propria punizione che si trasmette anche ai nostri figli senza che ne abbiano alcuna colpa.
Tutti puniti senza aver commesso il fatto , assurdamente assurdo!
Non sapere vieta di vivere la vita con la serenità che la stessa meriterebbe prosegue Maria Pia ,per molte donne adottate il momento della maternità viene vissuto con ansia ,alcune effettuano dei veri e propri transfert di ciò che hanno vissuto proiettandoli su figlio che sta per nascere ,per alcune è proprio il momento in cui si scatenano emozioni in cui si domandano come sia potuto accadere che si sia stati abbandonati, una catena di emozioni che sembra non terminare mai.
Io questo racconto l’ho vissuto realmente come una grande richiesta di attenzione meritata ,l’ho vissuto come una testimonianza preziosa e rara poiché anche se siamo nel 2015 molti tabù non sono ancora caduti purtroppo, l’ho vissuto come un pugno allo stomaco nel pensare che ancora pochi giorni fa c’è stata qualche donna che ha preferito abbandonare suo figlio in strada quando ora si può tranquillamente partorire in ospedale senza essere costretti a riconoscere poi questo figlio ma almeno gli si garantisce e si riceve la giusta assistenza in un momento comunque delicato.
Questo racconto dovrebbe trasmettere ad ognuno di noi quale sia stata la fortuna grande di nascere e crescere all’intorno di una famiglia che ci ha dato comunque un senso di appartenenza e quando pensiamo a noi sappiamo perfettamente da chi abbiamo ereditato la sensibilità per l’arte piuttosto che un carattere allegro o cupo non dobbiamo ricercare nulla è tutto li a portata di mano.
Nessuno di questi figli disconosce il valore delle mamme adottive , nessuno di questi figli ha intenzione di giudicare o accusare le madri biologiche anzi: possiedono così tanto amore che vorrebbero poterlo condividere con due mamme ,allargarlo, estenderlo, farne un grande privilegio perché se da una parte si deve essere grati per la vita ricevuta ,dall’altra si deve essere grati per essere stati cresciuti e resi uomini e donne che camminano sulle strade del mondo.
Personalmente mi auguro che questa battaglie che il Comitato Nazionale per il diritto delle conoscenza delle origini biologiche sta conducendo e che hanno portato a ben 15 mesi di discussioni ,a 19 sedute di commissione, a 6 audizioni possa vedere la proposta di legge per cambiare appunto la legge che vieta di conoscere chi sia la mamma biologica prima che siano trascorsi 100 anni approdi finalmente alla Camera e non continui ad essere cancellata dagli ordini del giorno che la vedono spesso presente ma anche annullata.
Non votando gli emendamenti diventa impossibile mettere in moto l’iter legislativo e questo è davvero un peccato accada in una nazione che non perde occasione di riempirsi la bocca con la parola civiltà ma che spesso non accompagna con i fatti quanto asserisce di essere.
Sarebbe una festa delle mamme, sarebbe una festa di ritorno alle origini, sarebbe un cerchio che finalmente si chiude, sarebbe avere riconosciuto il diritto alla salute, sarebbe un poter vedere negli occhi della mamma i propri .
Non c’è risentimento ne livore nelle parole di Maria Pia, non ci sono giudizi e sentenze ,non c’è voglia di discussioni ma solo voglia di un abbraccio corale che potremmo far giungere loro anche noi magari partecipando alla manifestazione del 10 Maggio dove questi figli non riconosciuti fanno capire che stanno cercando le loro mamme biologiche per ringraziarle per aver dato loro la vita cosa che dovremmo fare anche noi ogni volta che sentiamo non aspettando che arrivi un giorno preordinato per ricordarcene.
Grazie alla mia MAMMA per avermi dato la luce e con la stessa luce di aver accompagnato i miei passi illuminando il mio cammino sul mondo!