domenica 12 aprile 2020

Grazie ai nostri sacerdoti, un impegno che non va dimenticato.

Fare il prete non è un mestiere, è una vocazione. Chi ha fede sa che il sacerdote riceve una chiamata, chi non ha fede capisce che il prete fa quello che fa per missione. I preti vengono considerati male, in questi tempi bui che rappresentano il tempo finale fine civiltà. I preti, le decine di migliaia di bravi sacerdoti, pagano il fio di pochi degenerati che, all'occhio di chi cerca qualcosa da odiare, rappresentano la Chiesa intera.  
In questo periodo di grandi sofferenze per tutti, si celebrano gli eroi: medici, infermieri, forze dell'ordine, operatori civili esposti al rischio di essere contagiati per portare a termine il loro servizio, che sia di incartarci il prosciutto o di ritirare la spazzatura. I preti non li ringrazia nessuno. Lo voglio fare io. 
Il sacerdote, in giorni normali, di carica sulle spalle i dolori della gente, li sublima nella fede e li porta a Dio. Ma il sacerdote è un uomo, e questi dolori li prende con sé e ci convive. È il suo lavoro, la sua missione, la sua vocazione. In questi giorni, i dolori si sono moltiplicati, e vanno a sommarsi ai propri, ai timori personali, alle umane incertezze che ha anche un prete, per quanto confortante dalla fede. Il sacerdote assorbe le sofferenze e le somma al rischio di ammalarsi a due volta, non potendosi esimere dal contatto, dal rapporto coi fedeli. 
Ho visto i nostri sacerdoti, quelli della mia comunità, inventarsi ogni giorno un nuovo modo per fare catechesi, per essere vicini ai fedeli e alla comunità parrocchiale. E li ho visti sofferenti e provati dal dolore che la loro comunità trasmette. Hanno fatto grandi cose, stanno facendo grandi cose. Voglio ringraziarli, abbracciarli e fargli sentire che il loro sforzo non è vano. Grazie don Sandro, don Jacob, don Lambert. Grazie davvero. Buona Pasqua. 

Luca Craia