lunedì 11 marzo 2019

Chiude la Romana, finisce una storia. Il destino segnato dei centri delle città massacrati dai centri commerciali.


Civitanova sta vivendo come un lutto la notizia della chiusura della storica Pasticceria Romana. In effetti è stato un fulmine a ciel sereno, ma non ci sono dubbi, tanto che l’annuncio è stato dato dalla stessa pagina Facebook dell’esercizio. Una brutta notizia, perché è dal 1970 che questa pasticceria allieta i palati di Civitanovesi e non, è luogo di incontro e aggregazione, polo culturale dove organizzare meeting, punto di riferimento indiscusso per tutto il territorio. Locale fortemente strategico, all’angolo tra Corso Umberto e la Stazione, la Romana è sempre stata, per chi ha frequentato o ha vissuto a Civitanova, un qualcosa che c’è e sembra dovrebbe esserci per sempre. Invece oggi la notizia è che non ci sarà più.
Non posso sapere, dallo scarno seppur toccante comunicato apparso sui social, quali siano le motivazioni che hanno indotto i proprietari a decidere per la chiusura ma, in un momento in cui si discute di aperture e chiusure festive, di centri commerciali che fagocitano il commercio tradizionale, di rimedi e ripari che appaiono come minimo tardivi, sapere che questa istituzione del commercio e della vita sociale chiude i battenti assume un valore simbolico al di là delle cause.
Il centro di Civitanova Marche soffre in maniera molto evidente la presenza ingombrante dei grandi centri commerciali del circondario. Chi ha un’età sufficientemente alta da ricordare come fosse il corso di Civitanova la domenica riesce a capire cosa intendo, vedendo oggi il centro svuotato, le vetrine chiuse, i negozi storici che, uno dopo l’altro, hanno chiuso i battenti. Del resto, pare inevitabile: il cinema si fa al multisala, nonostante l’eroica resistenza di alcune sale storiche come il Rossini. E la domenica si passa al chiuso, al caldo, dentro al corso artificiale e artificioso di qualche colosso del commercio gestito da una multinazionale a cui del cuore della città, della vita sociale, della comunità non interessa nulla.
E mentre i centri dei paesini dell’entroterra diventano città fantasma, lugubri e tristi senza un’anima viva che circoli, Civitanova sopravvive a stento cercando di resistere, con poche speranze, allo strapotere di questi baracconi pieni di luci, suoni e attrattive ipnotiche. E quando un’altra attività storica abbassa le serrande per sempre, è davvero un lutto. Che almeno faccia riflettere.

Luca Craia