martedì 5 febbraio 2019

14 Sindaci ci spiegano perché siamo cattivi a prendercela con la Regione per le ciclabili. Ma non sono i più danneggiati.


È soddisfatto, Angelo Sciapichetti, assessore alla Protezione Civile della Regione Marche, per il fatto che bel quattordici Sindaci marchigiani gli sono venuti in soccorso cercando di toglierlo dalla graticola delle famigerate piste ciclabili. È un documento in cui i Sindaci firmatari, oltre a sostenere la Giunta Regionale in questo momento difficile in cui i nostri amministratori sono messi alla berlina da terremotati e da mezza stampa nazionale (quell’altra mezza deve occuparsi di Sanremo), spiegano, bontà loro, ancora una volta alle capetoste come me che quei soldi non erano comunque destinati alla ricostruzione ripetendo come un mantra le stesse parole usate dai vari Ceriscioli, Sciapichetti, Casini e via discorrendo.
Appare inutile, a questo punto, ribadire che il fatto che tali fondi non erano destinati alla ricostruzione ce lo sapevamo, ma che ci sembra abbastanza irrispettoso far passare da deficiente chi legge già nella definizione dei fondi stessi un criterio di spesa che poteva essere più vicino ai territori colpiti. Se i fondi si chiamano “eventi sismici POR FESR Marche”, probabilmente sarebbe stato il caso di utilizzarli per qualcosa che c’entri in qualche modo col terremoto e i danni che ha fatto, piuttosto che per mandare in montagna i ciclisti. Sono scelte, lo abbiamo sempre detto, scelte legittime ma anche fortemente criticabili.
Comunque avete letto bene, sono ben 14 i primi cittadini che giudicano positivamente l’investimento che la Regione Marche farà con questi soldi, ossia la costruzione di due ciclovie che porteranno le due ruote dalla costa alle macerie in un battibalocchio. Al che mi viene il legittimo sospetto che magari mi sbaglio io, che forse in questa idea, che a me pare quantomeno balorda, ci sia del buono che forse mi sfugge, se gli stessi sindaci del territorio colpito dal terremoto reputano la cosa tanto utile da firmare un documento congiunto per sostenerla.
Poi però vai a vedere quali sono questi quattordici Sindaci e ti accorgi che non ce n’è uno dei paesi colpiti più duramente. Ci sono il Sindaco di Macerata, di Corridonia, di Mogliano e Petriolo, paesi che hanno preso una bella botta, sì, ma la cui situazione non è minimamente paragonabile con quella di Camerino, Ussita, Visso, Castelsantangelo e via discorrendo. Ci sono anche i Sindaci di Matelica, Esanatoglia, Fabriano, San Severino, Cerreto D’Esi, Castelraimondo, Tolentino, Pollenza, Urbisaglia e Sarnano. Ma, guarda caso, quelli che hanno i centri storici rasi al suolo, quelli spopolati, con l’economia massacrata, con le strade chiuse da due anni e mezzo, non lo hanno firmato il documento, chissà perché.
Nelle Marche stiamo dimostrando che siamo un popolo di cartapesta, e non ho usato termini più scurrili che pure ci starebbero. Non abbiamo solidarietà tra noi, non abbiamo coesione, non ce la facciamo a remare tutti nella stessa direzione mantenendo la capacità di riconoscere onestamente chi ha più e chi ha meno bisogno di essere sostenuto. S’era capito da come ci siamo approcciati all’emergenza, ognuno cercando di tirare l’acqua al proprio mulino, dalle proteste tardive e da quelle con il timer, dai piccoli sgambetti, dalla solitudine delle popolazioni. 
Questo ulteriore episodio rimarca ancora una volta come facciano bene quelli che se ne stracicciano della gente e mantengono l’intenzione di non ricostruire, di lasciare il deserto nelle zone terremotate, quelle terremotate sul serio, per cogliere l’enorme opportunità economica e politica che deriva dal terremoto. Le piste ciclabili sono utili, sì, davvero, ma tra dieci anni, non ora. Non prima che si sia ricostruito il sistema economico e sociale distrutto prima dal terremoto e poi dall’incapacità se non dalla volontà politica. Hanno fatto una scelta, legittima ma sbagliatissima, una scelta che forse vuol dire che, in realtà, non ricostruiranno mai, e questi quattordici Sindaci che la sostengono hanno scelto anche loro. E con queste teste, la guerra non si vince, né ora né mai.

Luca Craia