mercoledì 2 maggio 2018

Terremoto, le macerie dell'anima e gli omicidi di Stato

È più grave della mia delusione,quanto accaduto, tanto da indurmi a cambiare, per un istante, idea dopo aver preso coscienza che i terremotati ormai non gradiscono più che ci siano osservatori esterni che diano libere opinioni sulla situazione, preferendo il silenzio o una informazione sostanzialmente controllata, magari a colpi di minacce legali, come fa il Sindaco di Norcia, esattamente come quella che io definisco di regime. Avendo a cuore le sorti di questa gente e di questi luoghi, mi ero proposto di tacere come da loro preferito, senonchè la morte di Massimo mi ha indotto a un ultimo pensiero scritto sul blog su questa situazione.
Credo che siamo di fronte a un omicidio, e lo dico cosciente di tirarmi di nuovo addosso le ire delle schiere schierate, quelle che mi scarnificarono quando parlai di un fatto analogo in quel di Fiastra, qualche tempo fa, uno dei primi suicidi da terremoto. Lo Stato ha talmente vessato questi Italiani, privandoli prima di ogni assistenza sanitaria psicologica, cosa lapalissianamente dovuta dopo traumi di questa portata, e poi creando tali e tanti ostacoli per la ripresa di qualcosa che somigli alla normalità, che le responsabilità di quanto sta accadendo sono evidenti.
Il problema è che i terremotati si stanno dividendo, oltre che frantumando ognuno dietro ai casi propri, in due grandi categorie: quelli con speranze e quelli senza speranze. I primi sono i prigionieri vittime della sindrome di Stoccolma che, privati di tutto, vedono qualsiasi porcheria concessa, vedi il deltaplano di Castelluccio, come grasso che cola. I secondi non hanno grasso, sono privati di ogni speranza, di ogni aspettativa, gli tolgono il CAS, la SAE, la stessa vita, sostanzialmente li ammazzano in senso lato finché non si ammazzano da soli in senso stretto.
Mi scuso per i toni, ma confesso di essere molto arrabbiato mentre scrivo, e sto scrivendo di getto. Il mio cordoglio per Massimo che, per mia sfortuna, non conoscevo personalmente, è fortemente inferiore alla rabbia che provo per la sua fine. E per il fatto che nessuno si sia scusato, abbia chiesto perdono. E nessuno, sono convinto, lo farà. 
Credo che siamo a un punto di svolta, in cui il disegno di spopolamento, impoverimento, sostanziale distruzione del tessuto umano delle zone terremotate si stia concretizzando col placet delle stesse vittime affette dalla sindrome di cui sopra. Da qui, la mia domanda: che ruolo può avere un commentatore esterno, che non ha la possibilità di vivere trenta giorni tra i terremotati come essi stessi sembra chiedano, in questo snodo cruciale? Non lo so. Per evitare di far danni ai terremotati stessi, riflettendo, taccio. Poi vedremo.

Luca Craia