giovedì 24 maggio 2018

Il 24 Maggio non si celebra più. E nemmeno si ricorda.


Sono convinto che, se chiediamo ai nostri ragazzi, quelli ancora a scuola o quelli ancora giovani, ove per giovane si intende il fatto anagrafico e non quello mentale per il quale diversi cinquantenni ancora sculettano per strada o nei locali, cosa si ricorda il 24 maggio, pochi o nessuno lo sappiano dire. In effetti anche sui social, dove sembra essersi trasferita l’esistenza sociale di quasi la totalità degli Italiani, non sono riuscito a trovare alcun accenno a questa data, né su pagine istituzionali né private, quandanche di persone note per passione storica o amor patrio.
Eppure il 24 maggio è una data importante per l’Italia. Per chi non lo sapesse, il 24 maggio 1915 l’Italia entrò in guerra, in quel conflitto noto con l’appellativo di grande, un conflitto che causò una quantità di morti e di tragedie mai verificatesi fino ad allora e che vide, dopo tre anni, in nostro Paese uscire vincitore per quanto prostrato dallo sforzo bellico. A parte, però, il dato storico, su cui non intendo dilungarmi, la ricorrenza è stata sempre celebrata, in passato, come simbolo di patriottismo, con uso abbondante di retorica.
Oggi, che la retorica sembra essere diventata un qualcosa si repellente o, forse, si è trasformata mutandosi in qualcosa di meno elevato ma comunque efficace, ben nascosta da un eloquio tutt’altro che forbito come quello usato in passato, questi simboli italici vengono gradualmente rimossi. Tra le prime vittime dell’antiretorica moderna o, per meglio dire, della nuova retorica che rifiuta la retorica classica, c’è proprio la celebrazione del 24 maggio.
Parlare in questi tempi di vittoria italiana, di amor patrio, di sacri confini equivale a essere tacciati di nazionalismo, inteso nella peggiore accezione, quando non direttamente di fascismo. Eppure un minimo di amo patrio deve essere rimasto, da qualche parte, e sarebbe un bene ritrovarlo anche perché, al netto della retorica, parlare di patria equivale a fare l’interesse della propria Nazione che, in fin dei conti, sarebbe casa nostra.
È per questo che voglio augurare a chi ha avuta la pazienza di leggermi fino a questo punto un buon 24 Maggio, non tanto nel ricordo della sanguinosa Grande Guerra, quanto nel tentativo di recuperare in senso positivo quell’amor patrio quasi scomparso ma del quale credo ci sia ancora un notevole bisogno. Oggi, forse, più che mai.

Luca Craia