Ho guardato con grande raccapriccio, lo confesso, la
scenetta da cabaret di Beppe Grillo in versione cuoco (penta)stellato. Il
raccapriccio non è dovuto, di per sé, allo sketch, anche se il comico genovese
una volta era più efficace, almeno nell’arte di far ridere, ma per il fatto
che, in realtà, non si volesse far ridere. L’apparizione di Grillo è un
messaggio politico e come tale è stato da tutti interpretato. Non entro nemmeno
nel merito del messaggio, che potrebbe anche essere condivisibile. Mi fermo
alla forma, perché anche la forma ha la sua importanza.
La forma è turpe, irrispettosa delle Istituzioni alle
quali ci si rivolge, irrispettosa dei cittadini che ascoltano e guardano,
irrispettosa del Paese che, sinceramente, nonostante tutto credo meriti
qualcosa di più. La politica deve rappresentare il meglio del Paese, non la
media del suo livello culturale, non i suoi profondi mal di pancia. La politica
deve interpretarli, i mal di pancia, ma non deve far sentire la digestione del
Popolo, il meteorismo che ne consegue. Non si può fare politica col turpiloquio
ma non si può nemmeno farla con le scenette.
Sono antico, forse, probabilmente superato, ma ritengo
ancora che il rispetto della forma, dei ruoli, dell’interlocutore siano
importanti, come importanti sono le parole, i vocaboli, il modo di esprimersi
quando si tende a occuparsi della cosa pubblica. Perché occuparsi della cosa
pubblica è una missione altissimi e altissima deve essere anche nella forma,
oltre che nella sostanza. E se cediamo alla forma, non possiamo aspettarci
nulla di buono dalla sostanza, con tutti i buoni propositi che possiamo avere.
Luca Craia