venerdì 29 dicembre 2017

Integrazione della comunità magrebina sempre più lontana con i fatti di sangue di Natale.



A me, francamente, di essere tacciato di razzismo o xenofobia non interessa nulla, in quanto parto sempre dal presupposto che, con la mia coscienza, i conti li faccio io. Per questo voglio manifestare, senza ipocrisia alcuna, tutta la mia preoccupazione per la situazione che si sta verificando a Montegranaro, speculare e forse un po’ più grave di quella generale, nell’inserimento sociale della comunità magrebina. Due fatti di sangue gravi, anzi, gravissimi in tre giorni, due liti finite in tentato omicidio, una il giorno di Natale e l’altra il 27, a chiudere, si spera, un anno fatto di episodi simili che fanno vacillare il senso di sicurezza dei cittadini e dovrebbero farci interrogare su come si possa convivere con questi presupposti.
Che nella comunità magrebina ci siano tante brave persone è fuori discussione, ci sono come in ogni comunità. Ma qui il problema serio è che la comunità stessa non agisce per espellere il male dal suo interno ma sostanzialmente lo protegge e difende. La questione nasce da lontano, da quando Montegranaro era ancora paese ricco dove trovare lavoro e futuro. Sono venuti in massa, prima solo gli uomini, adattandosi a vivere in condizioni disumane per lavorare e per poi ricongiungersi con le famiglie. Dopo qualche anno sono arrivate mogli e figli. Lavoravano e non creavano problemi, eccetto qualche caso sporadico.
Poi è venuta la crisi, è cominciato a mancare il lavoro e la prospettiva per il futuro. I più volenterosi sono andati altrove, anche all’estero, e sono rimasti quelli, diciamo, con situazioni più precarie, più al limite, ovviamente insieme ai pochi fortunati che hanno mantenuto un reddito. Insomma, un vaglio di natura economica che ha scremato la comunità. A questo va aggiunto un altro fattore importante: la mancata integrazione delle seconde e terze generazioni, quei giovani che non sono riusciti a farsi assorbire dal tessuto sociale italiano e che, in moltissimi casi, non hanno voluto, per motivi culturali o sociali.
Oggi, quindi, ci troviamo di fronte a una situazione contraria a quella di una ventina di anni fa, in cui in molti pensavamo che la convivenza fosse possibile e, anzi, costruttiva. Ora accade, invece, che sono rimasti quasi soltanto i fattori divisivi, e la percezione, purtroppo suffragata dai fatti di cronaca, è che la convivenza con questa comunità diventi sempre più complicata e difficile da realizzare.
C’è una legislazione ipergarantista che peggiora il quadro e non consente l’azione repressive e rieducativa che lo Stato dovrebbe svolgere nei confronti di chi delinque. Questi piccoli criminali, che stanno sgretolando un costrutto delicatissimo come la pacifica convivenza tra due etnie, una autoctona e una oriunda, tendenzialmente poco conciliabili, non vengono nemmeno puniti in maniera concreta per i loro misfatti, tornando a occupare stabilmente il loro posto all’interno della comunità straniera.
E la stessa comunità non agisce per espellerli, forse perché non ha in mano gli strumenti ma anche e soprattutto perché culturalmente non attrezzata per farlo. In questo modo, però, l’integrazione diventa impossibile, e a nulla servono le iniziative politiche, come i corsi di italiano per stranieri, che appaiono più estemporanee che appartenenti a un progetto, a una visione di insieme che, evidentemente, chi ci governa non ha.

Luca Craia

Nessun commento:

Posta un commento