È logico che, dopo essersi sentiti – e essere stati di fatto –
abbandonati per oltre un anno, veder arrivare l’Esercito finalmente a dare
segno di presenza dello Stato fin qui latitante può essere sommamente entusiasmante
per i cittadini di Castelsantangelo Sul Nera. Comprendo perfettamente la loro
gioia e, francamente, un po’ la condivido. Ma, usando la logica, non mi pare ci
sia nulla di cui essere soddisfatti.
In primo luogo c’è da considerare il ritardo e il conseguente danno in
termini di spopolamento, depressione delle attività economiche,
desertificazione sostanziale del territorio causato irrimediabilmente dall’assenza
dello Stato. L’intervento dei soldati è troppo tardivo e, per quanto ora si
possa mettere mano a problemi ormai antichi e finora irrisolti, è molto porta
della stalla chiusa a buoi usciti. Qualcuno potrebbe obiettare col classico “meglio
tardi che mai” ma c’è un altro fattore, più importante e basilare, che va
tenuto in considerazione e mi sorprende che l’autorità politica locale non ne
abbia ancora fatto cenno.
Mi riferisco al mancato uso, ancora una volta, delle risorse locali.
Nell’are colpita dal terremoto ci sono fior di aziende in grado di fare il
lavoro a cui è chiamato l’Esercito come e meglio di quest’ultimo. Imprese di
professionisti dell’edilizia e del movimento terra che potevano essere
impiegate fin da subito per la rimozione delle macerie e per porre le basi
della futura ricostruzione e che, invece, nemmeno oggi vengono interpellate.
L’utilizzo delle risorse locali avrebbe avuto un duplice effetto
benefico: avrebbe fatto partire celermente il processo post emergenziale per
mano di gente esperta che fa quello di mestiere ma, soprattutto, avrebbe ridato
linfa vitale all’economia locale che, invece, da oltre un anno langue.
Sono considerazioni, credo, talmente elementari e logiche che è
stupefacente non vengano fatte da chi di dovere che, dal lato locale, plaude
incondizionatamente e dal lato regionale, ancora una volta, dimostra di non
avere la minima consapevolezza del da farsi. O forse ce l’hanno eccome.
Luca Craia
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