È beffardo, il terremoto, il caso, il fato o come lo volete chiamare
questo fortuito coincidere di date: a pochi giorni dall’anniversario del sisma
che ha sbriciolato il cuore dell’Italia centrale, un altro terremoto miete
nuove vittime, distrugge esistenze, mina il senso di sicurezza e annienta il
futuro. È un nuovo terremoto ma la
storia è vecchia, il film lo abbiamo già visto, la canzone l’abbiamo già
sentita.
Le lacrime, le facce funeree dei giornalisti in televisione che
cambiano espressione dopo pochi minuti parlando di calcio o di Belen; le frasi
di circostanza sui social di quelli che, magari, pensando ai terremotati dell’anno
scorso dicevano “che palle, sti terremotati”. Oggi il Papa ricorderà le
vittime, il Presidente della Repubblica pronuncerà un discorso commovente pieno
di ovvietà. Arriverà la solidarietà dei Paesi amici, magari qualcuno si offrirà
di mandarci un’elemosina per l’emergenza che si perderà, poi, nei rivoli del
consueto spreco italico.
Poi c’è lo Stato, quello Stato che non lascerà mai soli i nuovi
terremotati, certo che no. Quello Stato che prometterà la soluzione in un
lampo, quello Stato che manderà i suoi rappresentanti a farsi un po’ di sana
passerella tra le macerie, a farsi riprendere coi soccorritori impolverati o
mentre piangono alla messa in suffragio. Quello Stato che nominerà qualche
nuovo commissario, consulente, certamente un amico o un parente di qualcuno o
qualche esponente di partito da collocare, magari un anno dopo, in qualche
lista elettorale.
E poi ci sono i cittadini, ormai assuefatti allo schifo, annoiati
dalle lamentele che, tanto, ci saranno, perché i terremotati hanno il vizio di
lamentarsi, vai a capire perché. Ci sono quei cittadini che rischiano di
diventare protagonisti da spettatori, lo sanno ma non ci vogliono pensare, perché
l’Italia rischia tutta ma non fa mai niente nessuno e nel ventunesimo secolo si
muore in una casa costruita male, magari abusiva, per una scossetta che, in un
Paese normale, al massimo farebbe cadere un quadro.
Infine ci sono le vittime, quelle morte e quelle vive, quelli che non
ci sono più e quelli che non avranno più un’esistenza normale per un lungo,
lunghissimo periodo. A loro, per quel che vale, il mio pensiero più intenso, la
mia vicinanza, la mia solidarietà.
Luca Craia
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