Capita spesso, ma proprio tanto spesso, che la gente mi chieda: “ma
dove lo prendi il tempo per scrivere?”. La domanda a volte è pretenziosa, sottintende
la frase “non c’hai niente da fare?”. Altre volte, invece, è pura curiosità.
Così, senza intenti polemici ma solo per rispondere all’unisono a tutti, vi
spiego come funziona, anche in modo che, in futuro, anziché mettermi a spiegare,
posso dire: “vattelo a leggere”.
Per avere da fare, ho da fare, anche parecchio. Ho un’attività
commerciale e chi ha un’attività commerciale sa che è un lavoro che impegna
almeno dodici/tredici ore al giorno sei giorni su sette, con pochissime ferie e
scarsissime occasioni di riposo. Però è anche un lavoro che ha dei tempi morti
e mi consente di scrivere utilizzando quelli.
Va anche detto che, per scrivere un pezzo, normalmente non ci metto
più di cinque minuti. Scrivo di getto, e rileggo solo dopo, a pubblicazione
avvenuta, lasciando passare del tempo altrimenti, rileggessi immediatamente,
molti errori mi sfuggirebbero. Per questo spesso potete trovare dei refusi nei
miei pezzi, che magari correggerò a una rilettura successiva ma, appena
pubblicati, restano lì per diverso tempo.
Scrivere è per me un bisogno fisiologico, più che una passione. Se non
scrivo di attualità, di politica, di cronaca, scrivo di ricordi, di poesie, di
musica. Ma devo scrivere, ogni giorno, altrimenti mi rimane dentro qualcosa. E
in questo caso non c’è purga che tenga.
Con questi tempi di scrittura, se sono ispirato, riesco a pubblicare
tre, quattro, cinque pezzi al giorno. Anche scrivendo cinque pezzi, in un
giorno avrei “buttato via” circa venticinque/trenta minuti. Molto meno di
quanto, alcuni di quelli che mi domandano dove prendo il tempo per scrivere, spendono
in discussioni edotte su Donnarumma, Mussolini, belle figliole o ricette elaborate.
Luca Craia
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