Me lo
ricordo molto bene, quel 16 marzo 1978. Ero un bambino, ma mi impressionò
tantissimo la notizia prima del rapimento e poi dell’uccisione di Aldo Moro.
Era una notizia di quelle tragiche, quelle che danno la sensazione che si sia
rotto qualcosa. E si era rotto davvero qualcosa, rotto irrimediabilmente.
La morte di
Aldo Moro ha segnato la fine di un’era politica e sociale. Ha messo una pietra
tombale su ogni aspirazione di successo per la lotta armata, ma ha anche aperto
la crisi ideologica della sinistra italiana, portando alla fine del Partito
Comunista, avvenuta, con la prospettiva di tanti anni passati, poco tempo dopo.
Ha messo in crisi gli ideali che animavano la lotta di classe e tagliato ogni
filo che potesse legare la sinistra extraparlamentare col Paese reale,
relegando i ragionamenti sulla rivoluzione ai salotti radical e ai tavoli degli
intellettuali con la erre moscia.
Le Brigate
Rosse non hanno solo assassinato Aldo Moro, hanno ucciso una classe politica.
Quella classe politica fatta di uomini alti, culturalmente e moralmente, uomini
che lavoravano per la Costituzione e per il Paese, ha visto iniziare la propria
fine dentro quella Renault 4 rossa, una fine che arrivò con l’ascesa di Craxi e
il profondo mutamento di costume portato dagli anni ’80.
Non voglio
idealizzare: si rubava anche prima. C’era corruzione ma era quella corruzione
endemica alla politica, quella che, con un pizzico di fatalismo, definirei
inevitabile. Ma la questione morale, fino alla morte di Moro, non era un
problema prioritario. Chi governava aveva l’obiettivo primario nel ben del
Paese, per poi, magari, trovare il proprio tornaconto. La morte di Moro ha
condotto l’Italia verso l’epoca in cui gli obiettivi si sono prima ribaltati,
per poi vedere annientato quello più nobile.
Sarebbe
stata un’Italia diversa se Moro non fosse stato ucciso, ne sono convinto. Se Le
BR avessero avuto il coraggio e la lungimiranza di liberarlo, avrebbero
cambiato comunque la politica italiana, ma sarebbe cambiata in meglio, con un
effetto filtro che avrebbe eliminato dalla scena tanti personaggi equivoci che,
negli anni successivi, hanno condotto il Paese fino a Tangentopoli e all’avvento
del berlusconismo, con il tracollo morale che ne è conseguito. Lasciare vivere
Moro avrebbe salvato la sinistra dalla fine indegna che ha fatto, depurandola dalle connotazioni negative del marxismo, e messo i
presupposti per una destra diversa, moderna, sganciata dalle pesanti eredità
ideologiche del passato.
Oggi
possiamo solo rimpiangere quello che non è stato. Ma possiamo anche comparare
le qualità umane e politiche di chi governò l’Italia fino a quell’infausto
periodo con quelle di coloro che fingono di governarla oggi. Potremmo attingere
a quel patrimonio morale e culturale e pretenderlo oggi da chi si candida a
guidarci. Ecco il punto: gli Italiani devono imparare a pretendere qualità da
chi governa. È un diritto del Popolo Italiano, un diritto che abbiamo dimenticato.
Luca
Craia
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