lunedì 6 aprile 2020

COMUNE DI CASTELRAIMONDO: CRITERI PER L’ASSEGNAZIONE DEI BONUS ALIMENTARI A SOSTEGNO DEL DISAGIO ECONOMICO DOVUTO ALL’EMERGENZA COVID-19 IN CORSO


Comunicato integrale

È stato diramato nei giorni scorsi anche a Castelraimondo l’avviso per l’assegnazione del bonus alimentare a favore di persone e famiglie in condizioni di disagio economico e sociale causato dalla situazione emergenziale in atto, una misura volta a sostenere le persone e le famiglie in condizioni di assoluto momentaneo disagio economico. Possono presentare istanza di ammissione all'erogazione di un buono spesa i nuclei familiari, anche monoparentali, in gravi difficoltà economiche, senza alcun reddito disponibile e alcuna forma di sostentamento reperibile attraverso accumuli bancari o postali e che sono quindi impossibilitati nell’immediato a far fronte alle necessità di sostentamento del proprio nucleo familiare. Gli interessati dovranno presentare domanda con il modello allegato scaricabile dal sito istituzionale e indicare l’esercizio commerciale dove andranno ad acquistare i generi alimentari e prodotti di prima necessità fra i seguenti che hanno aderito all’iniziativa: PUNTO SIMPLY di via E. Mattei, SI CON TE di Via Piancatelli e SI CON TE di Piazza Dante, SUPER COAL di Porcarelli Roberto di via Brugnola. L’istanza andrà inviata, entro lunedì 6 aprirle alle 13, preferibilmente via mail ai seguenti indirizzi: comune.castelraimondo@pec.it e info@comune.castelraimondo.mc.it accompagnata dalla scansione di un documento di identità di chi presenta la domanda e ulteriori documenti utili alla gestione della stessa. Per chi non è in grado di inviarla via e-mail può essere consegnata al protocollo comunale lasciando la domanda nell’apposita cassetta all’esterno del portone d’ingresso del palazzo comunale. Ogni famiglia potrà presentare una sola istanza .
La concessione del buono spesa avverrà con precedenza ai nuclei familiari che non risultano già assegnatari di sostegno pubblico (RdC, Rei, Naspi, indennità di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria e in deroga, stipendi, pensioni). Qualora i fondi non fossero capienti per accogliere tutte le istanze verrà data priorità a quelle presentate da nuclei con minori, che hanno al loro interno disabili riconosciuti o persone ultrasessantacinquenni o con familiari che sostengono l’onere per l’affitto per l’abitazione di residenza.
L’entità del buono spesa varia a seconda della composizione del nucleo familiare e se si percepiscono o meno altri sostegni pubblici, secondo le seguenti tabelle:
Tabella 1 – Nuclei al cui interno non ci sono componenti che percepiscono altri sostegni pubblici
COMPOSIZIONE DEL NUCLEO FAMILIARE IMPORTO DEL BUONO
Nucleo composto da 5 persone e oltre € 300,00
Nucleo composto da 4 persone € 250,00
Nucleo composto da 3 persone € 200,00
Nucleo composto da 2 persone € 150,00
Nucleo composto da 1 persona € 100,00

Tabella 2 – Nuclei al cui interno ci sono componenti che percepiscono altri sostegni pubblici al di sotto di € 600,00
COMPOSIZIONE DEL NUCLEO FAMILIARE IMPORTO DEL BUONO
Nucleo composto da 5 persone e oltre € 150,00
Nucleo composto da 4 persone € 120,00
Nucleo composto da 3 persone € 100,00
Nucleo composto da 2 persone € 80,00
Nucleo composto da 1 persona € 60,00

Qualora residuassero risorse, dopo aver evaso le domande con le priorità sopra indicate, si provvederà all’assegnazione di un ulteriore buono in misura proporzionale alle risorse residue e all’entità del buono originario.
Qualora il beneficiario fosse impossibilitato ad effettuare la spesa autonomamente (persone anziane/disabili/persone in quarantena e senza rete familiare), si procederà tramite i volontari della protezione civile alla consegna a domicilio.
L’Amministrazione comunale, provvederà ad effettuare gli opportuni controlli successivi, in ordine alla veridicità delle attestazioni riportate nell’autodichiarazione pervenuta a mezzo email. Per ogni ulteriore informazione, gli interessati potranno contattare il seguente numero telefonico 0737-641723 dal lunedì al sabato dalle ore 10,30 alle ore 13,30.
Si coglie l’occasione per invitare tutti al rispetto rigoroso delle regole di comportamento ormai note, prima fra tutte quella di uscire solo se strettamente ed effettivamente necessario per recarsi al lavoro, in farmacia, per fare la spesa (possibilmente con cadenza settimanale, non certamente giornaliera) o per situazioni di emergenza sanitaria. Si raccomanda l’utilizzo della mascherina che può essere acquistata in farmacia.  Ognuno di noi ha un compito ben preciso in questa lotta al COVID19 e ciascuno di noi deve sentire il dovere morale e civile di svolgerlo al massimo delle proprie possibilità, evitando nella maniera più assoluta atteggiamenti che possano, in qualsiasi modo, mettere a rischio la pubblica incolumità e contribuire ad alimentare tensioni ed allarmismi.

Pocalisse



In questo periodo in cui siamo costretti in casa, magari col morale a terra e costretti a inventarci qualcosa per ammazzare il tempo, spero di fare cosa gradita ripubblicando alcuni miei vecchi racconti, presenti nella raccolta “I Racconti della Marca Bassa”. Cominciamo col primo. Buona lettura. 

Luca Craia


Pocalisse
 
Faceva un caldo dell’altro mondo il giorno del funerale di Giancarlo. Solo che, se andate in paese oggi, a distanza di anni, e chiedete a qualcuno, il primo che passa, di raccontarvi dei funerali di Giancarlo vi si chiederà: “Giancarlo chi?”. Perché, vedete, nei paesini di quella regione stretta tra gli Appennini e il mare Adriatico, avvezza alle perturbazioni dai Balcani e allo Scirocco estivo, benedetta da un clima mitissimo d’estate e comunque piacevole d’inverno, un luogo dove si va dalla costa al monte Sibillino in meno di un’ora, i nomi non dicono nulla: contano i soprannomi. E il nostro Giancarlo (che di giancarli lì ce n’erano diversi) si chiamava per tutti Pocalisse. Di fatto questo curioso personaggio, sempre vestito con un grembiule da farmacista o da macellaio, fate voi, bianco all’origine e chiazzato di ogni colore del creato per le sue peregrinazioni urbane, era per tutti Pocalisse perché, come nei romanzi d’appendice o nei peggiori film di fantascienza, dove c’è sempre quella specie di Diogene dei poveri che gira urlando per le strade annunciando la fine del mondo, girava appunto per i vicoli del paesello avvertendo il prossimo dell’Apocalisse imminente. E dava anche la data precisa: il 27 luglio del millenovecentottantare. Si sa: da quelle parti si storpiano i nomi, figuriamoci i soprannomi. E così Giancarlo divenne per tutti Pocalisse.
Lui lo annunciava già dal settantasei per cui ci si meravigliò non poco quando proprio il 26 luglio del fatidico ottantatré, giornata di un’afa infernale, Pocalisse fu trovato stecchito e un po’ appuzzato vicino ad un bidone della spazzatura davanti al palazzaccio, stroncato da un infarto o da una roba simile. Non avendo parenti prossimi, e quelli poco più che prossimi o remoti che fossero erano latitanti per vergogna della suddetta parentela, il funerale fu preso in carico dal Comune. E siccome Pocalisse era da tutti conosciuto e tutto sommato amato per quel tocco di colore e stramberia che dava ad un borgo altrimenti morto stecchito, si decise di fargli un funerale coi controfiocchi, in chiesa col parroco, il Sindaco e pure i carabinieri.
Dato che il decesso era fatto risalire intorno alle ore dodici del giorno prima, le ventiquattrore di legge cadevano ad un orario improbabile per un funerale, soprattutto in base al caldo boia che faceva. Così si stabilirono le funzioni per le diciassette, che avrebbe almeno rinfrescato un po’. E le si stabilirono nella chiesa nuova, quella fuori le mura, perché si prevedeva un flusso di gente al di sopra del normale.
Alle sedici e trenta del 27 luglio 1983 alla chiesa nuova fuori le mura, sul selciato, c’erano almeno quaranta gradi. Dentro la chiesa non si sa ma di gradi ce n’erano tanti. E c’era anche tanta gente, forse troppa per la struttura. Col caldo bestia che faceva tutte le donne erano venute armate di ventaglio. Gli uomini presero il libretto dei canti e lo trasformarono tutti in ventaglio anch’esso.  Il parroco cominciò la messa e già c’era tutto un frullare di mani e mantici più o meno improvvisati. Il caldo non calmava, anzi, e verso metà predica c’era già qualcuno che dubitava di arrivare vivo alla benedizione. Don Dino, poi, si applicò non poco per fare una di quelle omelie che sarebbero pure state toccanti a novembre ma il 27 di luglio alle diciassette e rotti, con quel caldo, erano solo una specie di tortura inquisitoria a cui molti avrebbero preferito la vergine di Norimberga.
Alla Comunione erano ancora tutti vivi eccetto Pocalisse. I ventagli però frullavano rumorosamente. I pochi che ebbero la forza di alzarsi per comunicarsi portarono con sé il ventaglio o il facente funzione e non smisero di sventolarsi nemmeno mentre il prete gli dava l’ostia. Il rumore dell’aria smossa dalle ventole a mano si faceva evidente, forte addirittura. Si arrivò alla benedizione che si sentiva più il suono dell’aria smossa che le parole di don Dino. E qui accadde l’incredibile: quando il prete prese a spargere l’incenso sulla bara il ritmo dell’ondeggiare del turibolo prese a coincidere con quello della gran parte dei ventagli. Dopo pochi istanti, per un incredibile scherzo del destino, tutti i ventagli andavano allo stesso tempo, avanti e indietro. La chiesa si rinfrescò di botto.
Ognuno sentiva l’aria del proprio ventaglio e quella del vicino, di quello davanti e anche di quello dietro.  L’aria cominciò a turbinare, piano, poi crescendo, un po’ più forte, più forte sempre più forte, e iniziò a girare e girare e vorticare nella chiesa. Tutti smisero di sventolarsi ma ormai era l’inerzia a muovere l’aria, unita a qualche strano fenomeno fisico dovuto al contrasto tra aria fredda e calda che non so spiegare. Fatto sta che si generò un vento forte, il vento girava su se stesso con velocità sempre più spinta. Nella chiesa nuova fuori le mura volava tutto: fogli, piante, indumenti. La gente si buttò a terra terrorizzata. I banchi ballavano, le candele si spensero, le luci elettriche pure. Il prete cominciò a salmodiare in latino. Quelli vicini alla porta cercarono di prendere l’uscita ma le porte si richiusero di schianto. E un vortice fortissimo si sprigionò dalla platea verso il tetto. E il tetto, con un rumore simile a quello di un tuono ma più terrificante, in un nuvolo di calcinacci polverosi, volò via. Volò per quasi un chilometro e si schiantò in mezzo a un campo di girasoli, rovinandoli tutti. Insieme al tetto volò via la bara che, però, fece poca strada e si fermò, rovesciata, sul selciato davanti alla chiesa.
Pochi istanti di armageddon e tutto finì. Il vento si calmò e la gente si rialzò. Il prete riprese coscienza e cominciò a placare il terrore dei fedeli. I carabinieri aprirono a spallate la porta. Uscirono tutti come l’acqua esce dallo scarico del lavandino e fu incredibile che nessuno fini calpestato. Tutti corsero a casa, sindaco compreso, e rimasero solo il prete e i carabinieri di fronte alla bara sottosopra del povero Giancarlo. Il paese volò via sulle proprie gambe, anelante la sicurezza delle proprie mura e l’oblio.
La spiegazione ufficiale fu che sulla chiesa si era abbattuta una tromba d’aria estiva e aveva divelto il tetto costruito, si suppose, non proprio a regola d’arte, tanto che l’ingegnere che aveva firmato il progetto, invero senza nemmeno leggerlo, fu inquisito ma poi assolto per insufficienza di prove.  Ma chi c’era giura ancora che la tromba d’aria non era venuta da fuori: era nata dentro la chiesa, dai ventagli. E un paio dei carabinieri che andarono a raccogliere la bara di Pocalisse, dopo un paio di bicchieri al bar (presi fuori servizio, ben inteso) si lasciarono sfuggire di avere sentito, o almeno era parso loro di sentire, una specie di sghignazzo che sembrava, ribadirono sembrava, provenire da dentro la cassa.