venerdì 22 dicembre 2017

A Servigliano insegnano ai rifugiati a tagliare la pelle. Agli Italiani no.



Poniamo il caso che io sia un giovane in cerca di lavoro. Poniamo il caso che mi interessi entrare nel mondo della calzatura. Poniamo sempre il caso che voglia fare, che so, il tagliatore, ma che non lo sappia fare. Chi me lo insegnerebbe? E magari gratis? Nessuno. A Servigliano, invece, insegnano l’antica arte del taglio della pelle per calzature e lo fanno pure gratis. C’è un corso, organizzato dal Gus, Gruppo di Umana Solidarietà, i cui destinatari sono quattro richiedenti asilo.
È un bel progetto che meriterebbe un plauso, se fossimo in tempi normali, quei tempi che abbiamo conosciuto e ricordiamo con nostalgia. Ma quei tempi sono finiti, il lavoro non c’è o ce n’è pochissimo e ci sono tantissimi italiani che lo hanno perso, che cercano di riconvertirsi per trovarne uno nuovo e che non vengono aiutati da nessuno. Ci sono tantissimi giovani in cerca di un lavoro che non c’è, costretti a lavorare per meno di un tozzo di pane con contratti capestro che sfiorano lo schiavismo. Non credo possiamo permetterci di formare i rifugiati, mi dispiace.
Non è il momento. Credo che dovremmo occuparci prima dei nostri ragazzi, che non hanno un futuro, e dei nostri cinquantenni disoccupati, che non sanno come arrivare all’età della pensione. Perché un padre prima nutre i propri figli e poi aiuta gli altri, se ci avanza. Ma in questo momento non mi sembra avanzi proprio nulla.

Luca Craia

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