martedì 1 marzo 2016

Il paradosso dell’era della sorveglianza digitale



È paradossale questa impennata di criminalità nel fermano proprio nell’era della videosorveglianza. Un’impennata testimoniata quotidianamente dalle cronache locali che parlano di un susseguirsi preoccupante di atti criminosi, molti dei quali compiuti da stranieri, che contraddicono le rassicurazioni che giungono da tutori dell’ordine e politici. È paradossale perché, nel momento in cui si cerca di tranquillizzarci snocciolando dati sull’utilità della videosorveglianza, i fatti ci dicono che questa è pressochè inutile quando non dannosa.
Inutile, dicevo: anche se talvolta può aiutare nell’individuazione dei responsabili di atti vandalici o di piccoli gesti criminali, la videosorveglianza, se non è in tempo reale con la possibilità di intervenire tempestivamente durante il crimine, serve a ben poco. Né può essere considerata un valido deterrente in quanto il malvivente, ormai a conoscenza dell’esistenza delle telecamere, prenderà ovviamente le sue contromisure per non essere riconosciuto.
Dannosa. Lo è perché crea una sorta di alibi psicologico, una specie di convinzione di avere fatto quanto si poteva fare e, quindi, non sia necessario studiare nuove forme di tutela dell’ordine. E la mia impressione è che stia accadendo proprio questo: ci si è adagiati, si considera il monitoraggio video del territorio come la panacea di tutti i mali e non si pensa a come, magari, intensificare i controlli sul posto, i pattugliamenti, i controlli preventivi.
Le conseguenze le leggiamo sui giornali, con notizie ogni giorno più preoccupanti. E la gente comincia ad avere davvero paura. E a chiedere risposte che, al momento, non vengono o non convincono.

Luca Craia

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