mercoledì 22 luglio 2015

Polpette gender e finte libertà.



È un argomento che non volevo trattare per diversi motivi, tra cui la convinzione che si tratti di discussioni volute dal regime e anche per cercare di evitare l’ennesimo attacco dell’ennesimo mentecatto in cerca di sfogo alle proprie frustrazioni. Ma, come si sa, non so trattenermi nel dire la mia e, essendo questo uno spazio privato (c’è anche scritto “blog personale”) faccio come mi pare e chi è infastidito non legga.
Si, sono fermamente convinto che la questione “gender” sia una disputa popolare costruita ad hoc dal regime mediatico che governa Italia e mondo occidentale, una discussione nata per riempire pagine di giornali, palinsesti televisivi, blog e pagine dei social network. Un argomento di discussione da bar o parrucchiere che tenga impegnata la gente comune e non la faccia pensare ad altro, a qualcosa di più importante per la loro vita. Una discussione che faccia credere ai diretti interessati che stiano lottando per ottenere una libertà essenziale mentre quelle realmente essenziali ci vengono sistematicamente tolte giorno dopo giorno, pezzetto dopo pezzetto. Così, come si è volutamente riaperta l’ormai trita questione della legalizzazione delle droghe leggere, anche il dibattito sulla questione gender, ben più complesso e articolato, è una polpetta avvelenata che nasconde un’operazione di restrizione delle libertà fondamentali, uno zuccherino che ci deve far accettare lo scambio tra libertà (o presunte tali) non essenziali e libertà primarie.
Scendendo, però, nella questione in sé posso dire il mio parere, per quel che conta. Penso che l’affettività tra due persone debba essere oggetto di garanzie di legge, siano esse persone di generi diversi o dello stesso genere. E questo non riguarda necessariamente l’unione sessuale tra due persone. Penso, ad esempio, ai casi di fratelli non coniugati che convivono per anni, penso ad altri tipi di convivenza che non implicano affettività di tipo sessuale. Credo sia giusto che la legge stabilisca un negozio giuridico che fornisca diritti equiparabili a quelli matrimoniali alle cosiddette “coppie di fatto”, in modo tale che, sia finanziariamente che affettivamente, tali unioni possano avere delle garanzie protette. Del resto il matrimonio stesso, da un punto di vista legale, non è altro che un negozio giuridico tra due persone, un contratto che stabilisce diritti e doveri in una convivenza e i diritti e doveri sociali che ne conseguono. Non vedo perché questi diritto non possano essere ampliati a tutte le forme di convivenza. Poi chiamiamo questo negozio come ci pare.
Diverso è il discorso per quanto riguarda la procreazione che, per natura, non è possibile tra persone dello stesso sesso. In questo caso, molto semplicemente, credo dovrebbe valere il principio della naturalità delle azioni: se due persone dello stesso genere non possono procreare perché è la natura a impedirlo, non dovrebbero allevare figli. Idem dicasi per la scandalosa sentenza della Cassazione che stabilisce in qualche modo la discrezionalità personale nel decidere il proprio genere sessuale. Tralascio le implicazioni morali perché il discorso sarebbe troppo ampio e complesso, e mi fermo sulla stessa considerazione di cui sopra: se la natura ti fa nascere maschio sei maschio, a prescindere dall’inclinazione sessuale. Se nasci femmina sei femmina. Un essere umano fisicamente definibile in un genere appartiene a quel genere. Cambiare sesso sulla carta a proprio piacimento mi pare illogico, insensato e superbo.
E ora, via agli insulti

Luca Craia

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