lunedì 20 gennaio 2020

Junior Cally: lo scandalo non è Sanremo. Lo scandalo è che le sue canzoni le ascoltano i ragazzini.


Sono totalmente d’accordo con chi ha chiesto di non far esibire Junior Cally, anche se il problema di Sanremo è ben più ampio e si può sintetizzare nel fatto che, da qualche anno, si sta cercando di fare di Sanremo qualcosa che non è. Sanremo è il festival della canzone italiana. Dargli valenze politiche come è cominciato a fare con i festival condotti da Fazio e come sta molto maldestramente facendo quest’anno Amadeus, è sbagliato e produce mostruosità. Già l’anno scorso abbiamo visto sul palco dell’Aristo gente che dovrebbe essere altrove, sia a esibirsi che a farci la morale. Quest’anno, con l’inadeguatezza ormai conclamata del direttore artistico, stiamo raschiando il fondo del barile, tra giornaliste antisioniste e antitaliane e rapper che inneggiano alla violenza.
Ma, come sempre, Sanremo è lo specchio, la manifestazione spettacolare della società italiana. Ed è qui la cosa che preoccupa, anzi, spaventa. Perché il problema non è tanto che Junior Cally e quelli della sua specie arrivino a Sanremo, quanto che Junior Cally e quelli della sua specie sono gli idoli dei ragazzini, ragazzini che vanno ad affollarsi in discoteche improbabili per poi morire schiacciati dalla folla, ragazzini che bevono i testi abietti di questi presunti artisti e li assimilano culturalmente, in maniera silenziosa e subdola. Quando poi il mondo dello spettacolo accredita questi personaggi, mandandoli a Sanremo, a XFactor o chissà dove altro ancora, siamo bel oltre lo scandalo.
Senza invocare la censura, perché qui si tratta di buon senso e nient’altro, chi gestisce la comunicazione di massa deve essere responsabile. Invece qui si dimostra che quello che conta è solo lo spettacolo e non il suo contenuto. È un’altra faccia della frastagliata problematica del divertimento malato, dello sballo, degli orari confusi tra notte e giorno, tutta una sfilza di messaggi che arrivano ai nostri giovani e fanno legittimamente preoccupare su che tipo di formazione stiamo dando a chi, tra poco, guiderà il mondo.

Luca Craia

Autorizzati i lavori Telecom per la banda larga. Solo che è avvenuto tre anni fa.

“L’autorizzazione permetterà da un lato alla società di fare interventi in tanti punti della città, dall’altro a noi di azzerare il cosiddetto digital divide, garantendo una maggiore velocità di connessione a cittadini ed imprese con significativi benefici. Un incremento di un’infrastruttura fondamentale, quindi, che si somma ai lavori già partiti al Villaggio del Lavoro, per una copertura pressoché totale del territorio comunale”. Sono parole del Sindaco di Montegranaro, Ediana Mancini, nell’annunciare l’autorizzazione concessa dal Comune alla Telecom per far partire i lavori per fornire il paese della banca larga internet. Roba da stappare lo spumante, solo che lo spumante lo abbiamo stappato quasi tre anni fa, esattamente nel maggio del 2017, quando usciva il comunicato stampa dell’Amministrazione Comunale che si beava di questo traguardo raggiunto.
Il traguardo, però, si deve essere spostato perché, a oggi, la banda larga a Montegranaro è soltanto un miraggio. Si lavora con la vecchia adsl, con una capacità di trasmissione e ricezione da età della pietra. In alcune zone, tipo il centro storico, ancora si va col cavetto di rame e, quando si connette tanta gente, per esempio nei giorni di festa, la connessione praticamente non c’è.
Questo è un danno per le aziende, un disincentivo per venire a investire sul territorio di Montegranaro, ma anche un danno per i cittadini che, tra breve, dovranno dotarsi di smart tv che non funzioneranno o funzioneranno male per via della pessima connessione alla rete. Sicuramente di tutto questo non ha colpa l’Amministrazione Comunale, il lavori li deve fare la Telecom, ma magari potrebbe sollecitare, andare a vedere perché e per come, a distanza di quasi tre anni, siamo ancora fermi lì. E, magari, prima di far suonare le chiarine, aspettare un attimo.
Luca Craia

Sutor: è il momento di essere parte di una storia.


È facile fare il tifo quando la squadra è vincente, quando vengono o risultati, quando esci dal palas soddisfatto per una bella vittoria. Meno facile è essere tifosi quando le cose non vanno bene, quando i risultanti non vengono nonostante gli sforzi, quando, alla fine della partita, vai a casa con l’amaro in bocca perché, nonostante il bel gioco, il risultato non c’è. Non è facile essere tifosi quando la classifica piange.
Ma essere tifosi della Sutor non è essere tifosi di una normale squadra di basket. Essere tifosi della Sutor è essere parte di un paese, di una comunità, di una storia che va avanti attraversando due secoli, una storia antica fatta di sacrifici, soddisfazioni, sofferenze. Vedo in questa nuova Sutor una sorta di rinascita di Montegranaro, una rinascita che, purtroppo, è difficile, complicata, a tratti dolorosa. Ma la gente di Montegranaro è gente che sa soffrire, che sa sperare, che sa riuscire a raggiungere l’obiettivo. E, quando questo sembra allontanarsi, non si scoraggia e si impegna di più.
Ecco, questo è il momento non di essere normali tifosi, ma di essere parte di una storia. Perché ora si soffre, ora bisogna ingoiare bocconi amari, ora non ci sono le soddisfazioni che si vorrebbero. Ma alla Sutor si appartiene, non si tifa soltanto. Montegranaro deve stare vicino e sostenere la sua squadra, perché la storia è fatta di momenti belli e momenti brutti. E anche in questo momento, quella storia, la stiamo scrivendo.

Luca Craia