Vedere un paese morto, nel fine settimana, è una cosa a cui
non ci si abitua, anche se orai sono anni che la situazione è questa. È una
cosa che fa male, specie a chi, come me, ricorda ben altri scenari nei fine
settimana, quando la gente usciva, andava al cinema, andava nei caffè, si
incontrava e parlava. Oggi Montegranaro, come del resto moltissimi paesini dell’entroterra,
nei fine settimana è un luogo desolato e desolante, dove circola solo chi deve
andare a fare qualche commissione. E, nelle ore tarde, il deserto si trasforma
in terreno di scorribande tra balordi, dove il cittadino farebbe meglio a non
avventurarsi.
Il processo di desertificazione dei centri urbani dell’entroterra
ha radici profonde, parte dal richiamo delle città della costa di un tempo che
si è trasformato nel richiamo dei grandi centri commerciali, che si sono
sostituiti alle varie Civitanova o Porto San Giorgio che sia, spopolando anche
quelle che una volta erano le mete del passeggio domenicale. Quindi è un
fenomeno che non riguarda solo Montegranaro. Solo che a Montegranaro non vi si
pone riparo, e questo nonostante i programmi di rilancio, gli investimenti e le
volontà verbali di cambiare registro. Si sono spesi anche dei bei soldi per
riportare la gente di Montegranaro a spasso a Montegranaro, ma i risultati non
ci sono, si è fallito miseramente, sperperando denaro pubblico.
Il punto è che Montegranaro non ha attrattive. Non ne ha per
i giovani, e questo è abbastanza naturale, ma non ne ha nemmeno per le
famiglie. Il cinema è chiuso, i locali sono pochi e poco seducenti;
addirittura, dopo il terremoto, è stata chiusa anche la chiesa di San Francesco
che, comunque, portava gente in centro per la messa. Il risultato è quello che
vediamo tutti o, almeno, quelli che ci provano a farsi un giro in centro la
domenica: il marciapiedone è vuoto, lo sono i giardini, la piazza è spettrale,
il Campo dei Tigli è il Bronx. E non è questione di freddo o caldo, di
stagioni, di orari. È sempre così, appena meglio d’estate.
Occorre ripensare tutto, e sarebbe opportuno ripensarlo
prima di spendere altri soldi. Occorre un progetto complessivo, non opere faraoniche
realizzate al solo scopo di inaugurarle. È importante, perché un paese vivo è
anche un paese che combatte il degrado, che non dà spazio ai delinquenti. Un
paese vivo è anche un paese in cui è conveniente aprire una nuova attività o
investire in quelle vecchie. Un paese vivo è un luogo migliore in cui vivere.
Ma non servono le feste di una settimana o le discoteche in piazza fino all’alba,
serve un progetto serio, ponderato, che porti a investimenti produttivi e non a
soldi buttati al vento gelido di viale Gramsci.
Luca Craia