venerdì 28 agosto 2015

Le Vergare - Aggiornamento al 28/08/2015









Radio Veregra 1, 103,5 Mhz da tanti anni fa



La musica è sempre stata la mia passione. Ora, con l’età matura, forse un po’ meno. Certo non è la mia ragion d’essere ma è certamente un ausilio basilare per vivere meglio. Passo molto tempo in macchina e la mia autoradio è sempre accesa. Uso la musica per rilassarmi, per caricarmi o solo per divertirmi. Suono la mia chitarra per piacere e come anti stress.
Da ragazzo, invece, la musica era una ragione di vita, specie durante l’adolescenza. Sono cresciuto con l’orecchio attaccato alla radio. Mio nonno, da buon montegranarese doc, faceva le scarpe, sotto casa, come si usava allora. Piccola bottega artigiana, come tante nel cuore del centro storico, dislocata sui due piani del seminterrato di quella che adesso è casa mia. Lì c’erano entrambi i miei nonni, c’era Tonino che tagliava le tomaie, Ave che puliva le scarpe, Dino e Marì de Cucchiero.
E c’era una vecchia radio a valvole, di quelle di legno, grossa quasi come un televisore, infilata dentro una nicchia scavata nel muro maestro. Lì sentivo i Beatles, John Lennon, gli Stones, tutta la musica degli anni 60 e 70. E sentivo il mitico Lelio Luttazzi e la sua Hit Parade (ricordate la sigla? Lelio Luttazzi presenta: HIIIIIT PARADEEEEEEE, e partiva il carosello da circo).
La radio mi è entrata nel sangue fin da piccolo, come veicolo per ascoltare musica ma anche come mezzo di comunicazione, per me forse più importante della televisione anche perché, all’epoca, lo era realmente. E forse lo è ancora.
Una sera di fine estate del 1982 ero seduto su una panchina dietro le mura con Uliano e Giovanni. Eravamo un gruppo strano, quasi invasati di rock, e la nostra missione, convinti come eravamo che la dance music fosse il male assoluto, era quella di evangelizzare il mondo al rock. Vidi passare Mauro che, all’epoca, era una specie di art director della radio cittadina, Radio Veregra 1. Mi venne un flash e senza nemmeno pensarci dissi agli altri due: ma perché non facciamo un programma di musica heavy metal alla radio? Giovanni disse che ero matto. Uliano naturalmente si alzò in piedi e disse: “Andiamo a chiedergli se ce lo fa fare”. Ci andammo e lui ci disse che si poteva fare, ma prima dovevamo fare la gavetta. Ci doveva provare e, se avesse ritenuto che fossimo stati idonei, ci avrebbe fatto fare qualche mese di allenamento perché “non si può mica andare in onda così, senza esperienza”. Mica micio micio.
La sera dopo entrammo a Radio Veregra da via Enzo Bassi (sotto piazza). La radio era collocata nel seminterrato dello stabile, parte del municipio, che ospitava in piazza la sede della Democrazia Cristiana, ma si entrava dalla via di sotto. C’era un corridoio stretto sul quale si aprivano due porte a sinistra e una di fronte. La prima porta dava in una stanzetta, l’unica dotata di finestra, che fungeva da salottino (ino ino, con una sola poltrona) e da ufficetto con una scrivania di metallo.  Ricordo che quella sera alla scrivania era seduto Olivo “Patacchì” che imprecava al telefono non so con chi. La porta di fronte dava allo studio di trasmissione e Mauro mise subito in chiaro che, prima di entrare lì dentro, “troppe pagnotte dovevamo magnà”.
Ci fece invece entrare nella seconda porta a sinistra, che si apriva in una stanza senza finestre piena di strumenti come piatti, piastre, amplificatori, revox, finali di potenza, casse, un sacco di fili che pendevano da tutte le parti. Quello era lo studio 2, usato per registrare le pubblicità e alcuni programmi che non potevano andare in diretta e come magazzino. Mauro ci spiegò brevemente come funzionava la strumentazione e il mixer, e io mi misi subito in console dimostrando una certa propensione per l’uso del mixer e dei piatti. Uliano non manifestò mai interesse per la regia per cui sembrò naturale che quella toccasse a me. Giovanni se ne stava lì zitto, poco interessato e un po’ intimorito dai microfoni. Disse subito che lui non avrebbe parlato. Lo promuovemmo ad assistente di studio. Passò il primo anno a Radio Veregra a passarci i dischi da mettere dopo averli opportunamente puliti con lo straccio antistatico. L’anno dopo si prese una trasmissione tutta sua.
Iniziammo a provare e dimostrammo subito che la qualità non era poi male. Mauro decise di farci saltare a piè pari la gavetta e ci mandò in onda il martedì successivo. Senza aver “magnato” alcuna pagnotta.
Avevamo qualche giorno per prepararci, trovare un nome al programma, registrare la sigla. Decidemmo di chiamarlo “For those about to rock”, come il disco degli AC/DC, un titolo che ci voleva metà del tempo della trasmissione solo per dirlo. La sigla era naturalmente il brano omonimo. Preparammo la scaletta, densa di Iron Maiden, Saxon, Raven, Black Sabbath , Deep Purple e Led Zeppelin. Spargemmo la voce tra i vari amici e conoscenti e avemmo la quasi certezza che almeno una ventina di persone ci avrebbe ascoltato. Pare niente.
Così il martedì successivo, era settembre, si aprirono per noi le porte dello studio 1, quello della diretta. Era una stanzetta di tre metri per tre. La porta a due ante si apriva nell’angolo destro e ti trovavi di fronte un piccolo tavolo con appoggiati sopra due microfoni con la loro piantana. A sinistra si ergeva uno scaffale di metallo che separava la regia dal resto della stanza. Era come un  muro di strumenti costituito dal revox, un vecchio Philips con la carcassa in finto legno che fu presto sostituito da un più moderno Akai cromato, la pila delle due piastre per cassette, e i due piatti Lenco, uno a destra e uno a sinistra. In mezzo a tutto questo, che formava una specie di ferro di cavallo, il re dello studio, il mixer. Le pareti a destra e di fronte alla porta erano occupate dagli scaffali dei dischi, disposti in ordine alfabetico e divisi tra italiani e stranieri. Alla destra del regista un piccolo banco con sopra i due telefoni per la diretta, l’88329 di colore verde e l’88507 azzurro. In mezzo il “traslatore”, invenzione di Mauro: una scatola di scarpe ripiena di gomma-piuma con due fori sui quali appoggiare la cornetta del telefono. Ai fori corrispondeva un microfono per la parte della cornetta che va all’orecchio e un altoparlante preso da una cuffia per quella che va alla bocca. Il tutto collegato al mixer serviva per mandare in onda le telefonate.
Mauro era decisamente un genio: gli impianti della radio erano opera sua  e anche gran parte delle soluzioni “tecnologiche”. I budget erano meno che bassi e ci si arrangiava, ed era un bell’arrangiarsi dato che normalmente tutto funzionava bene. L’unico problema era che se malauguratamente qualcosa si fosse guastato l’unico in grado di ripararlo era appunto Mauro perché un altro non ci avrebbe capito nulla.
Mi sedetti alla regia, Uliano alla mia sinistra e alla sua sinistra Giovanni con la pila dei 33 giri portati da casa. La cassettina BASF C 12 contenente la sigla era pronta in piastra 1 e partì puntualmente alle 19,00 di quel martedì di settembre del 1982.  Mauro C., nostro amico e batterista della band che stava nascendo allora, i Blizzard, ci telefonò dopo cinque minuti per farci i complimenti, dimostrando che non era affatto di parte. Sapevamo però che c’era un folto pubblico ad ascoltarci: i nostri compagni di scuola. Carlo, per esempio, che mi prese in giro per una settimana dopo la prima puntata di For Those About to Rock, ma rimase un fedele ascoltatore fino alla fine.
Mentre Uliano era un metallaro puro a me piacevano anche molti altri generi. Così quando Mauro venne da me e mi disse che non ero male e che, essendoci parecchi spazi ancora liberi, potevo prendermene un altro, mi presi un’altra ora di trasmissione, il venerdì sempre alle sette di sera. Chiamai il programma The Road come la canzone di Keefe cantata da Jackson Browne, titolo che diventò in breve Hot Dog perché suonava meglio. Ogni venerdì lanciavo il “disco Hot Dog”, una nuova proposta che poi veniva ripetuta in altri programmi per una settimana.
Quando ridipingemmo le pareti della radio di celeste e rosa ci venne in mente di chiamare tutta la programmazione giovanile “Rosa Station”. Rosa Station comprendeva tutti i programmi pomeridiani ed era una specie di contenitore. A trasmettere eravamo in tanti: c’erano Cesare, Massimo, Massimo “Zago”, Gino “Il Cioppino”, Mario, Romano, Franco, Marcello che metteva cinque dischi su dieci dei Pooh, Olivo Patacchì, Ettore “Lo Tipografo” che metteva il liscio, Valentino, Nicola che faceva anche i notiziari.
Ognuno di noi aveva i suoi stacchetti e le sue sigle registrate su musicassetta. Anche Zago aveva le sue. Massimo non amava particolarmente essere chiamato Zago. A sua insaputa prendemmo una delle sue cassette con gli stacchi del suo programma e la sostituimmo con una registrata da noi, realizzata rallentando la voce in modo di farla abbassare di tono e con l’effetto eco finale. Lo stacchetto che registrammo diceva con voce baritonale (la mia): “Deejay Zago-go-go-go-go”. Massimo, ignaro, lo mandò in onda. Uso un eufemismo e dico che ne fu piuttosto contrariato. Non ha mai scoperto chi gli fece lo scherzo. Beh, ora l’ha scoperto, per cui se lo incontrerò prossimamente cambierò strada.
Olivo faceva il programma di dediche in diretta all’una dopo pranzo. Capitò che dimenticasse aperto il microfono mentre discuteva con non so chi e gli uscì di bocca un bestemmione, che andò in ondqa. Telefonò don Peppe Lo Pioà per protestare animatamente.
Gli anni della radio sono stati fantastici, spensierati, pieni di voglia di fare e di divertimento. Ci impegnavamo un po’ tutto per mandare avanti la baracca, facevamo i turni per mantenere le trasmissioni sempre attive. La domenica mandavamo a turno in onda la partita di calcio e quella della Sutor. Ascoltavamo i grandi network che iniziavano proprio allora, come Rete 105 o Radio Deejay, per prendere spunto ed imparare dai grandi, come Gianni Riso o Federico The Flying Dutchman. La radio era anche il luogo di ritrovo, per farsi due chiacchiere con gli amici, fare notte fonda ascoltando musica, improvvisando una trasmissione.
Ci spostammo al piano di sopra nel 1985. Fu un lavoro duro e faticoso ma ne valse la pena perché di sopra, a parte i soffitti piuttosto bassi, l’ambiente era un’altra cosa. Se non altro c’erano le finestre. Avevamo due studi separati per la regia e la trasmissione divisi da un vetro il che faceva tanto tanto professionale. I soci proprietari della radio avevano anche fatto incetta di strumentazione da un’altra emittente che aveva chiuso i battenti, per cui ci ritrovammo in studio un mixer gigantesco e fantastico, con tanti effetti e automatismi che prima ce li sognavamo. I piatti Lenco furono sostituiti da due Tecnics al quarzo, e lì ci perdemmo, molto meglio i vecchi Lenco a cinghia. Piastre e revox nuovi e uno splendido microfono Senaizer che faceva una voce chiara e limpida che neanche Linus.
Ora l’ingresso era lungo le scalette sotto l’arco di piazza e non più in via Enzo Bassi. Dopo le prime capocciate capimmo subito che bisognava entrare chini. Appena entrati c’era un accogliente salottino con la scrivania e la bacheca annunci e comunicazioni. Di sotto rimasero lo studio di registrazione – esattamente dov’era, il bagno e una saletta per le riunioni dove una volta c’era lo studio di trasmissione.
La programmazione cresceva e c’era molta più gente a trasmettere. Nuove leve come Claudio, Loredano Pulcì, il trio Cristiano, Marco e Gianluca, Tiziano. Rossano. I programmi prendevano sempre più un taglio “professionale” o, almeno, miglioravano qualitativamente. La vecchia guardia, Massimo, Gino, Franco, Valentino e “lo patrò” MM Marcello costituivano l’ossatura. Le nuove leve ci facevano guardare al futuro con ottimismo. Claudio conduceva un quotidiano di musica a richiesta che faceva arroventare i telefoni, Tiziano prendeva giorno dopo giorno una tale professionalità che pareva quasi sprecato con noi, il trio proponeva un programma talmente all’avanguardia in termini di humor che per alcuni era perfino difficile da capire. Rossano faceva un bel programma di cinema e musica. Il mio Hot Dog andava alla grande ed era ormai un’istituzione come il Super 80 di Zago e il Made in Italy di Gino. Marcello faceva il pre-notturno e qualche volta ne facevo alcuni anche io. Poi c’erano gli appuntamenti classici: il dedicone di Natale: tutto il giorno di Natale in diretta con tutti i conduttori a turno davanti al microfono. Il mio turno fisso per anni fu l’ultimo, quello dalle 21 alle 24, insieme a Giovanni. Con Franco, invece, facevamo il “Disco dell’anno”, un quizzone di una puntata soltanto, in genere la prima domenica dopo Capodanno, dalle otto alle tredici. Domande piuttosto idiote per avere il diritto di votare e estrazione finale di premi insulsi tramite collegamento via ponte radio con un’emittente lontana, spesso era una di Pavia. Ricordo un anno che vinse la Lambada e ricevemmo un migliaio di telefonate. Roba da chiodi. Leggenda.
Capitò anche che venissero a suonare alla Sala Francescani tre mostri sacri del jazz: Franco Cerri, l’uomo in ammollo di Bio Presto ma anche splendido chitarrista, Enrico Intra, mago del piano e il magnifico contrabbassista Marco Vaggi. Andammo ad intervistarli io e Giovanni e fu un’esperienza unica. Solo mi faceva specie vedere Cerri asciutto. Pagherei per avere ancora una copia di quell’intervista. Sempre con Giovanni facemmo uno special sui Beatles a Natale che durò tre puntate: la prima fino al 1965, la seconda fino al ’70 e poi la terza sulle carriere soliste. Fu un lavoro meticoloso di raccolta testi e interviste ma fu premiato da grandi ascolti e tanti complimenti di ascoltatori entusiasti. 
C’erano i veglioni di carnevale, di solito al palazzetto ma un anno fu fatto al teatro La Perla, per l’occasione sgombro di sedie. Era un mondo diverso, pensare oggi di fare tutto questo per puro volontariato, senza che nessuno prendesse una lira o addirittura con gente che ci investiva di tasca propria senza ricavarne nulla è quasi impossibile. Eppure lo si faceva, Si mandavano in diretta le partite del Montegranaro Calcio e delle Sutor ogni domenica. Si mandavano in diretta i consigli comunali. Avevamo anche il nostro giornalista iscritto all’albo: Eugenio. Insomma, un’organizzazione piuttosto precisa e tutto a titolo gratuito, tutto per divertirsi e fare qualcosa per Montegranaro. Roba d’altri tempi.

Gli sprechi nella scuola (nel nostro piccolo) e la politica



Con il pensionamento della storica Dirigente Scolastica montegranarese, Annalena Matricardi, si propone un caso piuttosto rappresentativo di come funzionino le cose nei microcosmi delle realtà locali e, di conseguenza, nel macrocosmo Italia. Il caso evidenzia un immotivato spreco di denaro e di professionalità a discapito, probabilmente, della qualità del servizio che si eroga. E, in questo caso, parlando di scuola, parliamo di un servizio essenziale e fondamentale.
Veniamo al caso: la dottoressa Matricardi, in scadenza di mandato e in procinto di godersi la meritata pensione, pensa di potere essere utile ancora per un po’ e, in funzione di quanto sancito dalla legge Madia che stabilisce la possibilità di “avvalersi temporaneamente, di personale in quiescenza per trasferire le competenze, esperienze e la continuità nella direzione degli uffici, si propone come reggente per un anno senza stipendio, in modo di poter accompagnare il cambio di guardia nella maniera più leggera possibile.
La risposta del Dirigente Regionale è stata la classica risposta all’italiana: non so se si può fare, la legge non è chiara, forse sì, forse no, chieda lumi al Ministero. Così la nostra ormai ex dirigente si appresta a chiedere, appunto, lumi al ministero ma, nel mentre, viene ufficializzata la nomina della nuova Dirigente dell’Isc di Montegranaro. Il Dirigente Regionale non ha atteso neanche un minuto. Perché?
La nuova Dirigente, al dottoressa Petrelli, presenta un curriculum di tutto rispetto ed è accompagnata da fama di persona seria e competente, per cui sono certo che sarà in grado di gestire egregiamente la nostra scuola, ma credo che l’affiancamento con la dottoressa Matricardi (sia con lei che con un altro dirigente al quale fosse stato assegnato il ruolo in via definitiva e non temporanea come nel nostro caso) avrebbe sicuramente portato benefici. Anche la titolarità per un ulteriore anno lasciata alla Matricardi senza costo alcuno (ricordo che lo avrebbe fatto senza stipendio, quindi gratis) sarebbe stata positiva in quanto avrebbe garantito continuità, scongiurato traumi e non sarebbe costata nulla. Invece si è preferito spendere soldi pubblici e accorpare la gestione di due grandi istituti nelle mani di una sola persona che, per quanto capace, avrà comunque limiti di tempo e di impegno. E soprattutto non credo che lo farà gratis.
A tal proposito ricordo anche che, a suo tempo, lo stesso accorpamento tra due scuole (quella di Montegranaro e quella di Monte San Pietrangeli) fu messo fortemente in discussione da esponenti politici montegranaresi perché si manifestò il dubbio che non fosse possibile gestire bene un Isc così grande. Ora che la gestione raddoppia, non sento alcuna voce. Come mai? Negli ultimi tempi ci furono delle divergenze anche forti tra Dirigenza scolastica e Comune, che mai hanno dato l’impressione di essersi sanate del tutto. Non voglio pensare a pressioni politiche su decisioni che politiche non dovrebbero essere, ma immagino che qualcuno, col pensionamento della dottoressa Matricardi, abbia tirato un sospiro di sollievo.

Luca Craia

giovedì 27 agosto 2015

Villini e pulizie



Il lussuoso villino monofamiliare a schiera che vedete in questa foto è uno dei tanti ruderi disseminati lungo le vie del centro storico. Tempo fa avevo travato anche un paio di ditte che volevano comprarlo e ristrutturarlo (le case a 1€ non se l'è inventate l'architetto) ma non se n'è fatto niente perchè ci sono grossi problemi coi passaggi di proprietà e non vi sto a tediare spiegandovi quali. Da questo stabile cade di tutto: cacca di piccione, mattoni, terra, erba. Dentro vi nidificano circa la metà dei 500 piccioni contati dall'assessore Beverati e vi lascio immaginare il profumino. Secondo alcuni ben pensanti, che magari vivono in dimore lussuose e si fanno fare le pulizie dalla domestica, a provvedere alla pulizia della zona interessata dalla sporcizia prodotta da questa rovina antica dovrebbero provvedere i cittadini che risiedono intorno. IO DICO CHE DEVE PROVVEDERE IL COMUNE. Con le tasse che paghiamo (e ce le hanno pure aumentate) non vedo perchè dovremmo occuparci di queste cose. Ci pensino loro o ci mandino le loro domestiche.

Luca Craia