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lunedì 16 gennaio 2017

Statale della Valnerina, tante chiacchiere e la strada resta chiusa



Non è pensabile la rinascita di Visso, Ussita, Castelsantangelo dei piccoli borghi della zona prescindendo dal ripristino del collegamento con Terni. La Statale della Valnerina chiusa preclude ogni speranza di rinascita, primo perché taglia i collegamenti diretti tra alcune frazioni e il comune capoluogo, Visso; secondo perché di fatto isola la zona sul lato ovest, danneggiando fortemente l’economia turistica e produttiva.
La strada, lo sappiamo, è stata inghiottita dal Nera a seguito di un grosso fronte di frana che è precipitato nell’alveo del fiume, causandone l’esondazione sulla strada. È vero che l’intervento per ripristinare la strada è complesso e non di facile realizzazione ed è anche vero quello che sento dire da tempo da diversi esponenti politici, ossia che serve un progetto di lungo periodo, perché la strada non può essere ricostruita col rischio che una nuova scossa o una nuova frana ci riporti punto a capo. Quindi è giusto che vengano effettuati tutti gli studi necessari. Ma quando si comincia? Non mi risultano atti pubblici in questa direzione, non mi pare di aver letto di incarichi assegnati per studi geologici o di fattibilità. Insomma, la sensazione è che, a parte le solite chiacchiere, per la Valnerina ancora non si è fatto nulla.
Del resto quel tratto di strada non ha alternative. Non è pensabile spostarla perché non c’è lo spazio. Siamo nella parte più stretta della valle e il percorso non può essere che quello. Occorre quindi approntare quanto prima il progetto e attuarlo con la massima urgenza. In sostanza, smettere di parlare e finalmente agire.

Luca Craia

venerdì 16 dicembre 2016

La Regione blocca la costruzione delle casette per i terremotati. Politica distante anni luce dalla gente.



È stupefacente come la politica si allontani sempre più dalle reali necessità dei cittadini. Il caso del terremoto del centro Italia sta dimostrando in maniera lampante come chi amministra il nostro Paese, dal governo centrale alle piccole amministrazioni, sia distante anni luce dalla realtà. In questo caso assolvo le amministrazioni comunali dei paesi colpiti direttamente e in maniera più massiccia, che stanno facendo, nella maggior parte dei casi, miracoli per gestire una situazione difficilissima. Ma a rendere ancora più complicato il loto compito ci si mette la burocrazia e l’ottusità di funzionari che non hanno la minima idea di quello che sta accadendo e di quello di cui la gente ha bisogno. Ma i funzionari, in mancanza di direttive politiche ben precise, si limitano ad applicare la legge. Ecco quindi che la responsabilità grava assolutamente sul capo degli amministratori politici.
Il caso delle casette di legno per i terremotati è allucinante. Dopo aver deportato gran parte della popolazione colpita dal sisma verso la costa, con un intento che appare oscuro e sinistro e disegna un futuro fosco per la zona montana delle Marche che, andando di questo passo, sembra destinata alla desertificazione, per i pochi residenti rimasti si sta cercando di rendere loro la vita impossibile.
Il caso, in breve, è questo: le casette di legno della Protezione Civile ancora non si vedono, ma in montagna nevica e fa freddo, anche il Pesarese Ceriscioli dovrebbe saperlo, e chi ha deciso di rimanere ma non ha più una casa deve trovare il modo di sopravvivere. Non avendo assistenza dallo Stato, che in quasi quattro mesi non è riuscito a portare sul posto nemmeno dei miseri prefabbricati in legno, molti cittadini si sono mossi da soli, acquistando a proprie spese delle strutture ove passare l’inverno. In questo in molti casi, come quello di Tolentino, c’è stato l’avallo dell’Amministrazione Comunale che ha autorizzato l’edificazione provvisoria di questi manufatti.
Ora arriva la Regione Marche che dice che non si può. Si tratta di costruzioni abusive che possono essere tollerate solo per tre mesi, dopodiché si rischia di incorrere nell’imputazione per costruzione abusiva. Inoltre la Regione invita i Comuni a seguire le direttive date dalla Protezione Civile, individuare le aree dove installare i prefabbricati, quando arriveranno (ma con calma) prediligendo aree pubbliche. Cornuti e mazziati, i terremotati. La casa non è agibile, gli aiuti non arrivano e chi dovrebbe aiutare che fa? Li minaccia penalmente. Quindi chi ha costruito dei prefabbricati sul proprio terreno li dovrà abbattere. E poi? E poi o se ne vanno anche loro al mare d’inverno oppure congelano attendendo che lo Stato porti loro le promesse casette di legno che, a primavera, saranno davvero d’aiuto. Non fosse tragico farebbe ridere.

Luca Craia

martedì 15 novembre 2016

I corsi O.S.S. e il nuovo schiavismo



Ci sono innumerevoli esempi di come, con i nuovi contratti di lavoro, che ormai tanto nuovi non lo sono più, si sia introdotta una nuova forma di sostanziale schiavismo imperniata sulla precarietà e sulla conseguente sudditanza del lavoratore nei confronti del datore di lavoro o del diretto superiore. Pensiamo ai call center, spesso portati a esempio per questa problematica, ma anche a rapporti di lavoro diversi, come i commessi dei centri commerciali o alcune categorie di operai manifatturieri. In realtà sono moltissimi i casi in cui, adoperando ad arte questi contratti fortemente sbilanciati a danno del lavoratore, si riesce a produrre l’effetto di schiavizzare quest’ultimo ed è stupefacente l’inerzia del mondo sindacale a proposito.
Vorrei parlare, ora, di una tipologia di lavoratore nata da pochi anni e che soffre particolarmente di questa situazione ma che, oltretutto, vede anche un esborso notevole da parte del lavoratore solo per poter praticare la professione. Mi riferisco alla figura dell’operatore socio-sanitario, meglio nota con l’acronimo O.S.S.. Per poter lavorare presso strutture pubbliche o private, l’aspirante OSS deve propedeuticamente seguire un corso di preparazione. Tali corsi una volta erano organizzati dalla Regione ed erano gratuiti ma oggi occorre rivolgersi a strutture private che li organizzano dietro autorizzazione della Regione,  e il costo del corso varia dai 1500 ai 4000 Euro. Una volta superato l’esame di abilitazione parte la trafila per trovare lavoro.
Eccetto rare eccezioni, lavoro non si trova o, meglio, si trova accettando condizioni di lavoro fuori da ogni norma. Lavorando nel settore socio-sanitario ci si aspetterebbe il massimo rispetto per le normative, a tutela del paziente e dell’operatore. Sul campo, invece, si trovano strutture in cui mancano persino gli elementi base della sicurezza sul lavoro: si sollevano i pazienti senza sollevatori, mancano le attrezzature, addirittura in alcuni casi mancano i presidi basilari come il materiale per l’igiene personale del paziente. Tutto questo danneggia il paziente e lo stesso operatore che si trova costretto a lavorare in condizioni inadeguate, spesso pericolose per la propria salute e col rischio di creare danno, appunto, al paziente avendone però la responsabilità civile e penale.
Perché, in realtà, l’operatore che si trovasse a lavorare in assenza dei requisiti di sicurezza per se stesso e per il paziente dovrebbe rifiutarsi e avvertire le autorità. Ma l’Oss non lo può fare. Il contratto di assunzione per l’Oss appena uscito da un corso è quasi sempre un contratto a tempo determinato, talvolta anche di categoria inferiore. L’Oss può rimanere senza lavoro da un momento all’altro e, per lo stesso motivo, molto spesso è sottoposto a turni fuori legge e a dover eseguire mansioni dequalificanti.
La questione è che, nel mondo socio-sanitario regionale, i posti di lavoro disponibili sono un numero pressochè chiuso e questo numero è ben noto a chi autorizza i corsi. Eppure, nonostante esista già un forte esubero di operatori sul mercato, ogni anno vengono autorizzati nuovi corsi, ben sapendo che i nuovi operatori formati non avranno spazio sul mercato. L’immissione continua di nuovi lavoratori in un mercato già saturo provoca una forte concorrenza tra gli stessi, costretti in questo modo ad accettare condizioni di lavoro altrimenti inaccettabili pur di conservare il posto. Tutto questo dopo aver pagato a dei privati cifre anche piuttosto cospicue, aver svolto mesi di tirocinio gratuito presso strutture private che utilizzano il tirocinante come bassa manovalanza gratuita, e con la santa benedizione della Regione che autorizza sempre nuovi corsi senza analizzare la situazione del mercato che, invece, consiglierebbe la sospensione della formazione di nuovi operatori, e del mondo sindacale che non interviene. In tutto questo chi ci guadagna? Si fa presto a vedere che quasi tutti gli attori della vicenda hanno dei vantaggi, eccetto il lavoratore che, nel miraggio di poter vincere un concorso pubblico e cambiare vita, nel frattempo vive da schiavo per pochi spiccioli.

Luca Craia