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sabato 18 giugno 2016

L’Italia vince, ma solo a pallone



Ieri sembrava fosse scoppiata la bomba H. Non c’era nessuno in strada, un silenzio surreale, quasi fischiavano le orecchie. Si sentivano solo gli uccelli cinguettare e le foglie frusciare sugli alberi. Ogni tanto, a ricordarci che l’essere umano non si era ancora estinto, il rumore di un televisore che usciva da una finestra. Naturalmente sintonizzato sulla partita della Nazionale.
Ecco, vorrei sentire quel silenzio religioso, ascetico, vorrei vedere quella devozione che porta l’Italia a fermarsi completamente in un giorno lavorativo e in orario lavorativo, che porta l’operaio e il padrone a sospendere la produzione, il barista a smettere di fare caffè, lo spazzino a smettere di spazzare, il controllore di volo a fare uno sciopero apposito per potersi vedere la partita, vorrei vedere tutto questo per qualcosa di diverso dallo sport. Con tutto il rispetto per lo sport (la partita, almeno il secondo tempo, l’ho guardata anche io).
Vorrei sentire la gioia che ho sentito quando tutta l’Italia, dopo quasi novanta minuti di silenzio surreale, è esplosa in un grido liberatorio per il goal, vorrei sentire quella gioia per l’ottenimento di un qualche diritto che stiamo, invece, perdendo. Vorrei vedere l’incazzatura per un gioco insoddisfacente, con la stessa intensità, per questi diritti calpestati, per la libertà negata, per la Costituzione fatta a brandelli. Vorrei vedere la stessa partecipazione che vedo per la partita alle elezioni, al referendum, quando si decide del nostro futuro e di quello dei nostri figli.
Ieri l’Italia del pallone ha vinto e siamo tutti contenti. L’Italia reale, invece, quella che perde occupazione, diritti, salute, qualità della vita, prestigio internazionale, quell’Italia sta perdendo ogni giorno di più. E adesso, per qualche tempo ancora, almeno finchè l’Italia del pallone continuerà a vincere (speriamo ancora a lungo, per carità) non ce ne accorgeremo nemmeno. E qualcuno, come sempre, ne approfitterà.

Luca Craia

domenica 28 febbraio 2016

Il ruolo della donna è fabbricare figli.



È curioso che a ristabilire un principio antico come quello dell’inferiorità dell’essere femminile sia proprio un esponente della sinistra progressista. Nichi Vendola, leader dell’unico partito che ancora accreditavamo a sinistra in Italia, se ne va in America e si compra un figlio, sancendo una volta per tutte alcuni assiomi che direi fondamentali. Enumeriamoli:
1) la donna è essere inferiore. Essa è stata creata per concepire figli e quindi deve essere a disposizione di chi ne volesse usufruire; Vendola riesce con un colpo solo a disfarsi di tutti i progressi sociali legati alla maternità e disintegrare ogni principio morale riconducibile alla genitorialità di sangue, fisica. Il maschio che vuole un figlio che sia sangue del suo sangue può affittare un utero, inteso come macchina per fabbricare figli, inseminarlo ed avere un figlio suo, carne della sua carne. Poco importo se poi sia anche carne della carne della donna che l’ha partorito in quanto questa non vale niente se non per il fatto di essere in grado di partorire, appunto, per il quale motivo viene opportunamente remunerata;
2) avere figli da donne che mettono a disposizione il loro utero è prerogativa dei ceti abbienti, in quanto solo chi può pagare può permettersi di comprarsi un figlio da una donna/oggetto. La mutua non te lo passa, un figlio;
3) l’uomo di governo e di legge (quale Vendola dovrebbe essere) può fregarsene delle leggi italiane, andare all’estero e fare quello che vuole. Insomma: le leggi italiane valgono solo per i poveracci che all’estero non ci possono andare perché costa.
E guardate che tutto questo, con la cosiddetta “step child adoption” non c’entra proprio niente.

Luca Craia

domenica 21 febbraio 2016

Lo stato sociale e l’immigrazione. Questo è il punto su cui interventire.



L’Italia è meta di immigrazione per molti motivi, primo fra tutti la collocazione geografica che ne fanno la porta d’ingresso per l’Europa più facile da raggiungere e più semplice da varcare. Ma ce ne è uno sul quale si potrebbe intervenire per scoraggiare il fenomeno senza esimersi dagli obblighi morali umanitari che ci vedono obbligati, in quanto essere umani, a soccorrere chi ha bisogno di aiuto. Mi riferisco all’accesso allo Stato Sociale da parte degli immigrati.
Lo Stato Sociale è una conquista del Popolo Italiano ed esiste, per quanto ne vengano quotidianamente smantellati pezzi fondamentali da governi sempre più inetti e delinquenziali, perché i cittadini italiani lo hanno costruito col proprio lavoro e le proprie tasse. Lo Stato Sociale è una sorta di assicurazione del Popolo Italiano, un’assicurazione che non è piovuta dal cielo ma è stata conquistata e pagata dagli Italiani. Per questo ritengo che debba essere ad uso esclusivo del Popolo Italiano.
Lo Stato Sociale deve essere utilizzato esclusivamente da cittadini italiani. Anche lo straniero ne dovrebbe poter usufruire, ma solo nel momento in cui cessi di essere straniero e diventi cittadino italiano, rinunciando definitivamente alla sua cittadinanza originaria. È stupido pensare a un periodo di tempo prestabilito perché questo accada; piuttosto è indispensabile che chi richieda di diventare cittadino italiano dimostri di essere perfettamente integrato, parlare la lingua e aver assimilato la cultura italiana.
L’immigrato deve poter venire in Italia, trovare lavoro e viverci, ma non deve poter accedere agli ammortizzatori sociali e ai sussidi sociali finchè non decide di diventare cittadino italiano e dimostri di averne i requisiti. Nel periodo in cui non sia possibile accedere allo Stato Sociale, lo straniero pagherebbe tasse e contributi che ne assicurerebbero il diritto futuro a usufruirne. Nel momento in cui lo straniero non sia più in grado di produrre un reddito e di pagare il proprio contributo alla socialità dello Stato Italiano, decadrebbe il motivo della sua permanenza in Italia e dovrebbe andarsene, non essere sostenuto a spese dei cittadini italiani.
In questo modo sarebbero salvaguardati i diritti umani degli immigrati e i diritti dei cittadini di essere padroni del proprio Paese. Tutto questo mi pare sia talmente chiaro e lampante che, in un paese normale, non dovrebbe nemmeno essere messo in discussione. In Italia, invece, tra ipocrisie di vario stampo, tra quelle cattoliche a quelle marxiste, il tutto si riduce a una finta tutela dei diritti mani che, in realtà, nasconde interessi lucrativi di gruppi di potere.

Luca Craia