È come se, improvvisamente, uno si svegli dal coma e si
accorga, con sbigottimento, che il mondo non è più quello di qualche anno
prima. Viene da dare il buongiorno a chi, oggi, si sveglia dal suo coma e parla
di crisi del settore calzature, chiedendo di prendere misure per arginare
questa drammatica situazione. Chiudere la stalla quando i buoi sono scappati, e
andati anche lontano, è un esercizio sterile, faticoso e può servire soltanto a
dare un po’ di visibilità ai soliti personaggi che di quello campano, ma la
crisi della calzatura ha radici antiche, complesse, ed è soltanto stata
aggravata ma non causata dalla congiuntura recente. C’è rimedio? Credo di no.
Si poteva rimediare anni fa, alle prime avvisaglie, quando gli
imprenditori meno illuminati andavano ad aprire i primi stabilimenti nell’est
Europa o nel Nordafrica insegnando ad altri paesi l’antica arte calzaturiera,
quando i nostri paesi si riempivano di laboratori cinesi che facevano chiudere
quelli italiani, quando esplodeva il fenomeno Cina, che regalava macchine,
stabilimenti, manodopera per prendersi tutto dopo pochi anni e vendere lo
stesso nostro prodotto a un quarto del nostro prezzo, dopo aver imparato da noi
come si fa.
Si poteva pensare di rompere la monocoltura calzaturiera,
cercare investitori che volessero aprire stabilimenti di produzione alternativa
sul territorio. Non lo si è fatto. Poi è arrivata la crisi mondiale, poi sono
arrivate le sanzioni alla Russia. Poi è arrivato Renzi. Ora c’è rimasto ben
poco da fare.
Ma quel poco si potrebbe tentare di farlo. L’iniziativa sul
Made in Italy che il nostro Enrico Ciccola sta portando avanti è lodevole e può
produrre risultati apprezzabili per le poche aziende sane rimaste, aziende che
hanno saputo adeguarsi ai tempi e al mercato ma che, comunque, vanno sostenute.
Si deve lavorare per riaprire mercati antichi, come la Russia, e nuovi mercati.
Si deve lavorare per sostituire le scarpe con altre produzioni.
Non servono consigli comunali passerella, non servono convegni,
non servono incontri pieni di paroloni e gente importante. Serve darsi da fare,
lavorare, sia agli alti livelli che a quelli bassi della politica. Gli
imprenditori, quelli superstiti, stanno facendo la loro parte, la politica no. È
ora di darsi da fare.
Luca Craia