giovedì 16 agosto 2018

L'ultimo Garibaldino

Eccomi, sono l'ultimo garibaldino, con la camicia rossa e il pantalon turchino. La camicia rossa, in realtà,  me la sono tolta quasi vergognandomi di tanto orrore legato al colore.    Ora porto una polo neutra, o una maglietta con qualche scritta strana. Non voglio più etichette, come non ne volevo allora, quando Bixio faceva il macellaio e Garibaldi pensava solo a come mettere tutta la faccenda davanti al re sabaudo del cazzo, quello che poi è arrivato e s'è preso tutto senza colpo ferire, se non all'orgoglio del mio generale. Io, partito da Quarto per fare l'Italia, credendo all'Italia, volendo l'Italia, per poi trovarmi a vederla cascare di sotto da un ponte, povera Italia sporca di rosso e azzurro, ipnotizzata dal pallone, dal Grande stronzissimo Fratello, dal Facebook dei poveracci che a Quarto non c'erano né mai ci saranno, ma pensano di farla col telefono, quest'Italia fallita prima di nascere, segnata da quell'obbedisco che non ha mai smesso di recitare. Io vi osservo da un secolo e mezzo, poveri pezzenti senza arte e senza culo, vittime della vostra ignavia, conquistati dai tanti Masaniello, dagli Austroungarici di turno, dai piani Marshall biennali come casca una montagna. O un ponte. Vi vedo, poveri morti di fame, scannarvi tra tifosi dell'Inter o della Juventus, del Pd dei farabutti o del plastificato nano di Arcore, agganciati all'ultima speranza di un governicchio pieno di buone intenzioni e di slogan. Speranza, speriamo. E se fallisce pure questo, tocca arrendersi agli Austroungarici, con un ritardo di un secolo e mezzo ma, almeno, un secolo e mezzo... mah... diciamo un secolo... ce lo siamo gustato. E quello che torna porta la nuova.

Luca Craia