Possiamo forse affermare che, con i ballottaggi di
ieri, l’Italia ha perso definitivamente la sinistra. Un tracollo epocale che fa
sparire dal panorama politico nazionale un intero blocco ideologico, un’intera
concezione dello Stato, una visione sociale completa. La sinistra italiana,
però, non è sparita ieri: il percorso di annullamento, anzi, di
auto-annullamento è partito da anni, da quando il PCI, storico partito dei
lavoratori e delle classi più deboli, ha cominciato la sua trasformazione
liberale e liberista mutando, prima del nome, il proprio pensiero e la propria
collocazione sociale e politica. Tutto questo è avvenuto senza cambiare gli uomini,
si badi bene, che sono rimasti al loro posto pur trasformando radicalmente il
proprio pensare.
Nel contempo, la sinistra radicale è rimasta bloccata
in schemi ideologici obsoleti, senza riuscire ad adeguarsi alle nuove mutazioni
sociali, perdendo l’orientamento e non capendo più quali fossero le classi di
riferimento e diventando baluardo contro un fantomatico fascismo che non c’è ma
che, proprio grazie al suicidio della sinistra, in futuro potrebbe esserci.
Un suicidio, quindi, quello della sinistra italiana o,
meglio, un omicidio i cui autori sono ben noti, hanno nomi e volti che tutti
conosciamo. E questi personaggi si sono assunti una gravissima responsabilità,
che va ad aggiungersi a quella di aver portato il Paese nello stato pietoso in
cui versa: lasciano l’Italia in mano alla destra. Che governi la destra va
bene, ha vinto e continua a vincere, gode del consenso popolare e, in
democrazia, vince chi viene votato. Il problema ora nasce dal fatto che non c’è
più l’alternativa e, quando non c’è l’alternativa, la democrazia soffre,
rischia e non è completamente realizzata.
L’Italia ha bisogno della sinistra, ma che sia una
sinistra nuova, moderna, sganciata dalle ideologie del passato, dagli schemi
precostituiti e dagli interessi sovrannazionali che non sempre collimano con
quelli nazionali. Perché rinasca la sinistra, però, è necessario che il vecchio
apparato venga cancellato, e questo ancora non si è pienamente realizzato, resistendo
piccole sacche elettorali come quelle marchigiane. In questo modo i vertici
continuano ad autolegittimarsi, privi oltretutto ormai di una base in grado di
chiederne l’abdicazione. In questo modo la sinistra, pur non esistendo più a
livello politico, non sparisce e non lascia spazio a potenziali nuove forme di
movimento alternativo alle destre. La situazione è bloccata.
In tutto questo c’è il Movimento 5 Stelle che, per
sua stessa natura, non è collocabile negli schemi classici della politica. Il M5S
non è né destra né sinistra ma dà la netta impressione, almeno a livello
locale, di protendere verso quegli spazi che via via vengono lasciati vuoti da
Pd e dalle forze radicali. Rimane però frenato dalla cospicua componente di
destra all’interno della base, componente che, invece, è ben felice, per
esempio, di governare insieme alla destra salviniana. In questa evidente
contraddizione, il Movimento sta perdendo consensi. Le ultime amministrative,
anche se mostrano numeri che possono sembrare lusinghieri, in realtà hanno
dimostrato che la rivoluzione a 5 Stelle non è partita e che il Movimento non è
riuscito a far saltare il banco come progettato e come era possibile accadesse.
Il rischio è che si presenti uno schema simile a
quello esistente fino a Tangentopoli, ossia un Paese bloccato, con un governo
che non ha e non può avere alternative, con l’aggravante che, una volta, questo
ruolo era ricoperto dalla Democrazia Cristiana e i suoi alleati che, comunque,
garantivano salde radici costituzionali e democratiche. Oggi questa garanzia
non è scontata. Per cui stare senza una sinistra di governo è per l’Italia un’autentica
iattura. Speriamo bene.
Luca Craia