lunedì 25 giugno 2018

L’Italia perde la sinistra e questo non va bene.


Possiamo forse affermare che, con i ballottaggi di ieri, l’Italia ha perso definitivamente la sinistra. Un tracollo epocale che fa sparire dal panorama politico nazionale un intero blocco ideologico, un’intera concezione dello Stato, una visione sociale completa. La sinistra italiana, però, non è sparita ieri: il percorso di annullamento, anzi, di auto-annullamento è partito da anni, da quando il PCI, storico partito dei lavoratori e delle classi più deboli, ha cominciato la sua trasformazione liberale e liberista mutando, prima del nome, il proprio pensiero e la propria collocazione sociale e politica. Tutto questo è avvenuto senza cambiare gli uomini, si badi bene, che sono rimasti al loro posto pur trasformando radicalmente il proprio pensare.
Nel contempo, la sinistra radicale è rimasta bloccata in schemi ideologici obsoleti, senza riuscire ad adeguarsi alle nuove mutazioni sociali, perdendo l’orientamento e non capendo più quali fossero le classi di riferimento e diventando baluardo contro un fantomatico fascismo che non c’è ma che, proprio grazie al suicidio della sinistra, in futuro potrebbe esserci.
Un suicidio, quindi, quello della sinistra italiana o, meglio, un omicidio i cui autori sono ben noti, hanno nomi e volti che tutti conosciamo. E questi personaggi si sono assunti una gravissima responsabilità, che va ad aggiungersi a quella di aver portato il Paese nello stato pietoso in cui versa: lasciano l’Italia in mano alla destra. Che governi la destra va bene, ha vinto e continua a vincere, gode del consenso popolare e, in democrazia, vince chi viene votato. Il problema ora nasce dal fatto che non c’è più l’alternativa e, quando non c’è l’alternativa, la democrazia soffre, rischia e non è completamente realizzata.
L’Italia ha bisogno della sinistra, ma che sia una sinistra nuova, moderna, sganciata dalle ideologie del passato, dagli schemi precostituiti e dagli interessi sovrannazionali che non sempre collimano con quelli nazionali. Perché rinasca la sinistra, però, è necessario che il vecchio apparato venga cancellato, e questo ancora non si è pienamente realizzato, resistendo piccole sacche elettorali come quelle marchigiane. In questo modo i vertici continuano ad autolegittimarsi, privi oltretutto ormai di una base in grado di chiederne l’abdicazione. In questo modo la sinistra, pur non esistendo più a livello politico, non sparisce e non lascia spazio a potenziali nuove forme di movimento alternativo alle destre. La situazione è bloccata.
In tutto questo c’è il Movimento 5 Stelle che, per sua stessa natura, non è collocabile negli schemi classici della politica. Il M5S non è né destra né sinistra ma dà la netta impressione, almeno a livello locale, di protendere verso quegli spazi che via via vengono lasciati vuoti da Pd e dalle forze radicali. Rimane però frenato dalla cospicua componente di destra all’interno della base, componente che, invece, è ben felice, per esempio, di governare insieme alla destra salviniana. In questa evidente contraddizione, il Movimento sta perdendo consensi. Le ultime amministrative, anche se mostrano numeri che possono sembrare lusinghieri, in realtà hanno dimostrato che la rivoluzione a 5 Stelle non è partita e che il Movimento non è riuscito a far saltare il banco come progettato e come era possibile accadesse.
Il rischio è che si presenti uno schema simile a quello esistente fino a Tangentopoli, ossia un Paese bloccato, con un governo che non ha e non può avere alternative, con l’aggravante che, una volta, questo ruolo era ricoperto dalla Democrazia Cristiana e i suoi alleati che, comunque, garantivano salde radici costituzionali e democratiche. Oggi questa garanzia non è scontata. Per cui stare senza una sinistra di governo è per l’Italia un’autentica iattura. Speriamo bene.

Luca Craia