sabato 30 giugno 2018

L’ex cementificio di Gagliole va smantellato. E forse cade uno dei motivi per la non ricostruzione.


È una decisione importante, quella presa dal dirigente regionale del settore valutazioni e autorizzazioni ambientali a proposito della richiesta di revisione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale presentata dalla proprietà dell’ex cementificio Sacci di Gagliole, una decisione che potrebbe modificare sensibilmente anche l’atteggiamento della politica nei confronti della ricostruzione post terremoto. Cerchiamo di capire perché.
L’Heidelberg Cement, gruppo tedesco proprietario dell’impianto, aveva presentato richiesta di AIA per convertire gli impianti, tra l’altro fermi da tempo, in modo da poter produrre del cemento Clinker, per il quale è possibile utilizzare materiali più poveri del cemento stesso, tra i quali anche i rifiuti inceneriti. Ed era proprio questo il timore di molti cittadini, tra l’altro riunitisi in comitato proprio per evitare che questo potesse capitare. E il rischio c’è stato, e anche serio, visto che l’AIA era stata concessa e il cementificio avrebbe potuto ripartire con la produzione, anche mettendo in funzione il forno clinker nel quale è possibile incenerire rifiuti di diversa provenienza, con ovvie e preoccupanti conseguenze sulla salute pubblica.
L’incidenza di malattie gravi, come i tumori, riconducibili alle attività di incenerimento è molto alta nell’area del cementificio, in particolare tra i comuni di San Severino, Gagliole e Castelraimondo. La preoccupazione, quindi, per la riattivazione dell’impianto, definito senza mezzi termini ecomostro, era forte e motivata. Ma la politica locale ha sempre giocato a rimpallarsi le responsabilità tra enti, evitando di prendere qualsiasi decisione, anche in funzione del fatto che, comunque, la chiusura del cementificio aveva già comportato la perdita di numerosi posti di lavoro. Una decisione, quindi, sarebbe stata impopolare qualsiasi essa sia stata. Un successivo ricorso al TAR aveva poi bloccato l’autorizzazione, blocco per il quale la proprietà degli impianti aveva fatto richiesta di revisione.
A chiudere la questione, anche se temporaneamente, visto che è ancora possibile ricorrere da parte della proprietà, è arrivato il diniego alla revisione, stabilendo che gli impianti vanno smantellati. Rischio scongiurato, almeno per ora.
Tutto questo può essere analizzato anche all’interno di quanto accaduto per il terremoto e alla sospetta strategia della desertificazione. Un luogo desertificato è privo di cittadini che si oppongano a decisioni come quella di realizzare un inceneritore in mezzo all’abitato e, se l’abitato non c’è più, il problema non si pone. Forse è proprio per progetti di questo genere che si tende a rallentare se non a bloccare i processi di ricostruzione, creando i presupposti per i quali la gente se ne vada dalle zone terremotate lasciano un vuoto umano che può essere molto utile a progetti simili.

Luca Craia