giovedì 5 aprile 2018

Vivere sicuri col terremoto? Si può, ma occorre eliminare le vulnerabilità.


Nella foto: Emanuele Tondi (foto: Radio Gold)
La ricetta per convivere col terremoto è semplice e ce la fornisce, con la solita professionale schiettezza, il professor Emanuele Tondi, geologo, docente all’Università di Camerino e Sindaco di uno dei comuni più colpito dal terremoto del 2016, Camporotondo di Fiastrone. Come si fa a non morire di terremoto? “Per stare sicuri e tranquilli” ci dice Tondi in una nota pubblicata sul suo profilo Facebook “occorre abitare e/o frequentare edifici non vulnerabili rispetto alla sismicità dell’area in cui si trovano”.
Sembra l’uovo di colombo ma non lo è, almeno non in Italia, dove ci sono problematiche di diverso genere da superare, come la salvaguardia del patrimonio culturale, il rispetto dei vincoli architettonici e paesaggistici, nonché la nostra atavica avversione al rispetto delle regole. Però rendere sicure le costruzioni è necessario, anzi, dovrebbe essere obbligatorio per tutti, privati cittadini e Istituzioni, perché, come dice sempre Emanuele Tondi, “non sappiamo quando, ma i terremoti avvengono sempre nelle stesse zone e con caratteristiche simili”, quindi è necessario fare in modo di rendere il vivere in quelle zone il più sicuro possibile.
Costruire in maniera sicura, quando lo si fa ex novo, è relativamente facile. Oggi ci sono le tecnologie adatte per evitare di morire schiacciati dalla propria abitazione, fermo restando che la sicurezza assoluta non esiste. Ma l’esperienza di Paesi ad alto rischio sismico, come il Giappone o gli Stati Uniti, ha sicuramente ampliato le conoscenze tecniche e oggi si può erigere un fabbricato con caratteristiche di sicurezza elevatissime. Non si può dire la stessa cosa nella ristrutturazione del patrimonio storico che, però, in Italia va comunque tutelato. Anche qui la tecnologia ci soccorre e aumenta il livello di sicurezza a livelli piuttosto alti, per quanto non come per le nuove costruzioni.
Il problema è che nessuno ha mai regolamentato in maniera seria, né si è mai cercato di applicare la regola vigente, tanto che buona parte dello stesso patrimonio pubblico risulta non adeguato ai requisiti minimi di vulnerabilità sismica. Per quanto riguarda il privato il discorso cambia, perché nelle nuove costruzioni esistono obblighi precisi. Per le vecchie case, invece, esiste solo il fato. Ma quando capitano cataclismi come è stato il terremoto del 2016 e si deve intervenire per ricostruire intere aree del Paese, aree ad alto rischio, soggette e ripetuti eventi di questo tipo e quindi particolarmente necessitanti di misure di sicurezza adeguate, bisogna che si pretenda la massima sicurezza negli stabili che si andranno a ricostruire, siano essi pubblici che privati.
Le idee fin qui dimostrate nella cosiddetta ricostruzione sono, però, estremamente vaghe, piuttosto raffazzonate, e distribuite in un dedalo di decreti e ordinanze quasi inestricabile. Non è certo così che si possa garantire la sicurezza della ricostruzione. Sempre che ricostruire si voglia.

Luca Craia