mercoledì 21 marzo 2018

L’ipocrisia giornalistica di non dire la nazionalità dei delinquenti.




Tutti i delinquenti sono uguali, il crimine non ha nazionalità, il furfante non ha bandiera. Secondo questo giusto principio, perfettamente condivisibile, si nota un recente atteggiamento della stampa che, riportando notizie di cronaca con protagonisti delinquenti stranieri, omette di riferire questo particolare. È una forma di tutela verso gli stranieri, onde evitare che si inneschino spirali di odio xenofobo, o si tratta di ipocrisia? Protendo per la seconda ipotesi.
Se è vero che un criminale straniero non è certamente più criminale di uno nostrano, è anche vero che, riportare la notizia, testimoniare la realtà e resocontare l’accaduto non dovrebbe avere alcun tipo di omissione. Non citare la nazionalità del reo è certamente un’omissione, una parte di verità che viene sottaciuta consapevolmente. E, se la motivazione può essere umanamente giusta, come tutela dei cittadini stranieri in generale, omettere questo tipo di particolare può falsare la percezione di quello che accade realmente.
A pensarci bene, infatti, il dato della nazionalità del criminale non è un dato che va trascurato nell’analisi della realtà. Sapere se un certo crimine, o la criminalità in genere, è in mano a una certa etnia o, comunque, di cittadini di origine straniera, anche strettamente da un punto di vista statistico è importante e può aiutare a mettere mano al problema con maggior cognizione, sia da un punto di vista investigativo che politico. E, per quest’ultimo, è necessario che la stessa popolazione si informata a pieno per poter poi decidere di conseguenza sul piano, appunto, politico. Il giornalista che omette questi dati, quindi, non solo deontologicamente non è corretto ma non svolge un buon servizio all’informazione.

Luca Craia