giovedì 22 febbraio 2018

La violenza della politica come arma di divisione di massa



Si picchiano come si picchiavano negli anni ’60 e ’70, anni che, nella mente di alcuni, sono un qualcosa di mitologico al netto del fatto che hanno innescato gli anni di piombo e il periodo più buio della storia italiana recente. In effetti la violenza che si manifesta in quella che dovrebbe essere dialettica politica e invece diventa puntualmente scontro assomiglia molto a quella degli anni immediatamente precedenti a quelli che hanno macchiato di sangue la nostra democrazia, una somiglianza pericolosa e preoccupante. Ma la violenza non è solo quella concreta e fisica degli scontri tra fascisti e fasciocomunisti, accomunati dalla stessa identica idiozia, ma risiede, anzi, si fonda proprio sul confronto dialettico, un confronto che non avviene più sui temi ma che si fonda sul tentativo di annullamento dell’avversario sul piano personale.
La campagna elettorale che, grazie a Dio, finirà la prossima settimana si è caratterizzata per un vuoto totale di proposte politiche, a meno che non si vogliano classificare come proposte le stupidaggini che stanno cercando di farci bere. Il vuoto lasciato dalla carenza di programmi e di idee è stata colmata con fiumi di accuse reciproche e una violenza, in questo caso solo verbale, che non risparmia nessuna delle parti in campo. Una violenza che, poi, diventa fisica quando assimilata da poveri di spirito che, piuttosto che accendere quella strada cosa di cui potrebbero anche essere dotati, il cervello, preferiscono vedere il sangue dell’avversario. Ma è una violenza che serpeggia ovunque e che anima e pulsa nei social network dove, volenti o nolenti, tutti siamo immersi e dai quali in molti attingiamo spunti di riflessione quando non informazioni.
Chi frequenta Facebook sa di cosa parlo: lo scontro verbale è all’ordine del giorno, alimentato sapientemente da profili fantasma, falsi, abilmente manovrati per generale asti e polemiche, polemiche che poi si ripercuotono nella vita reale. E tutto questo meccanismo è presumibilmente voluto e studiato, in perfetto stile divide et impera. Ma è pericolosissimo: primo perché, come dicevamo, rischiamo di riprecipitare negli anni di piombo aggravati da un imbarbarimento generale della società civile che, negli anni ’70, non esisteva. Secondo perché questo imbarbarimento può radicarsi e generare situazioni antidemocratiche. Insomma, stiamo rischiando il totalitarismo, forse un nuovo tipo di totalitarismo, che finalmente butta la machera e si mostra per quello che è: una mostruosità che non è agganciata ad alcuna ideologia se non quella del profitto e sulle ideologie basa la sua azione disgregatrice della società civile.

Luca Craia

(foto: Il Tempo)

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