Mario è romano de Roma,
trasteverino. È nato nel 1934 a Santo Spirito. Ma Mario ha il cuore a Ussita,
la sua vita, i suoi ricordi, le cose più belle e amate. Mario ricorda la
guerra, la fame, i bombardamenti. Mario si chiama Mario perché il nonno lo
voleva Benito o Ciano e il padre, partigiano, si è rifiutato. Mario è un
macellaio appassionato del suo lavoro, lo ha fatto per quaranta e passa anni
prima di andare in pensione, e lavorando ha conosciuto Santina, tanti anni fa, quella
ragazza di origine marchigiana che aveva una tabaccheria vicino alla macelleria
dove lavorava, in zona Gregorio VII, e una casa in un paesino tra le montagne,
Ussita, dove aveva trascorso parte della sua infanzia.
Mario e Santina si
innamorano, si sposano, mettono su famiglia. Una famiglia che torna sempre a
Ussita, appena può, a trovare parenti e amici. E nel 1988 Mario fa un regalo
speciale a Santina: compra una casa a Ussita, a Sasso. Glie l’ha regalata il 15
agosto del 1988 per il suo compleanno, quella casa, il regalo più bello che
potesse farle. Un regalo comprato con i soldi di una liquidazione fatta di
quarantadue anni di lavoro e sacrifici. Il sogno di una vita.
Santina muore sedici anni
dopo per un’emorragia cerebrale. Muore mentre è in vacanza a Ussita e a Ussita
viene sepolta, dopo aver donato gli organi. E lì rimane il cuore di Mario. Non nella
tomba della moglie, ma in quella casa dove hanno vissuto insieme i momenti più
felici. Mario scappa da Roma ogni volta che può e va a Ussita a visitare la
tomba della Moglie e a prendersi cura di quella casa. Accudisce i fiori, la
tiene viva, invita gente, cucina per i vicini. La sua casa è allegra e colorata
perché così rimane viva la sua Santina. È il suo modo di stare ancora accanto
alla moglie, all’amore della sua vita.
Poi è venuto il terremoto ed
è cambiato tutto. La casa non è crollata, ma è lesionata gravemente e deve
essere abbattuta. Lì dento ci sono tutti i ricordi, alla finestra ci sono
ancora le tendine ricamate a mano da Santina. Mario guarda quella casa, sta lì
vicino e la assiste come quando assisteva la moglie morente in attesa che le
staccassero i tubi. Dice che aspettare le ruspe che abbatteranno la sua casina
è come quando aspettava che staccassero i macchinari a Santina, un dolore
simile, una sofferenza atroce. Strapperanno quelle tendine ricamante, mentre
abbatteranno la casa.
Mario potrà ricostruire una
casa nuova, un giorno. Ma quella casina non ci sarà più, quelle stanze dove i
ricordi si mescolano con i profumi, l’immagine di Santina che cammina tra
quelle stanze sparirà insieme alle mura quando queste cadranno.
Vi ho raccontato questa
storia non perché devo rubarvi una lacrima. L’ho fatto perché anche questo,
soprattutto questo è il terremoto: la sofferenza sommessa, privata, silenziosa
di tanta gente che si è vista strappare i ricordi di una vita, i sentimenti, il
cuore. Non è una questione di beni materiali, è una questione di sentimenti.
Vorrei che quelli che si sono stancati di sentire le lamentele dei terremotati,
che cinicamente pensano a soldi e opportunità, leggessero questa piccola storia
raccontata male e capissero la sofferenza che c’è in queste persone. Mario vive
a Roma, a Ussita ha il cuore. Ma la sua storia rappresenta quella di tantissime
persone a cui il terremoto ha tolto non la casa intesa come capitale ma la casa
– scrigno dei ricordi, cassaforte dei sentimenti. Le case si ricostruiscono ma
la vita che c’era dentro no.
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