Molti conoscono e, magari, amano Bennato per le schitarrate in
compagnia cantando a squarciagola Il
gatto e la volpe, oppure perché ricordano i mitici mondiali di Italia ’90 al
suono di Notti magiche o, infine, per
le scanzonate note di Viva la mamma. Io
amo Bennato perché potrei chiamarlo babbo, nel senso di padre putativo, nel
senso che, con le sue canzoni, ho formato un bel po’ del carattere che ho e
della forma mentis che mi ritrovo.
Ho ascoltato il primo disco di Edo
registrato su una musicassetta Basf nel 1977, trasferendoci l’originale del mio
amico Serafino. Poi, negli anni, comprai anche i dischi più vecchi, Non farti
cadere le braccia, Io che non sono l’imperatore, I buoni e i cattivi, La torre
di Babele e, nell’80 Uffa Uffa e Sono solo canzonette. Li compravo con i soldi
messi da parte perché, intorno ai dieci anni di età, quelle canzonette, come
dice lui, erano diventate una specie di bibbia per me. E a quell’età le cose ti
rimangono dentro, ti formano.
Ho visto Bennato in concerto diverse volte, l’ultima pochi giorni fa
ad Amandola, e sono tornato quel ragazzino sognatore che voleva cambiare le
cose, che si incazzava col censore, che ragionava sul panis et circenses dell’imperatore,
che andava di buon grado in prigione e rispettava le fate, che voleva un mondo
migliore, la sua isola che non c’è. Non ho mai smesso di lottare, di essere
coerente a me stesso, di combattere con la massima convinzione per quello che
credo e di continuare ad avere dubbi. L’altra sera, ad Amandola, ho capito perché.
È ancora potente, il Peter Pan partenopeo: fa un rock’n roll che
spacca nonostante non sia più il giovane architetto incazzato nero per la
faccenda della metropolitana di Napoli. Ha un gruppo stupefacente, musicisti
virtuosi che sanno interpretare magnificamente quei pezzi di storia del primo
Bennato. E lui è sempre un grande capitano sul palco, sa come comandare la sua
ciurma osannante e la porta lontano come Spugna, che eseguiva gli ordini del
suo comandante. Edoardo Bennato ci ha fatto viaggiare nel tempo, riportandoci
indietro al ’73 nel gridargli rinnegato, mandandoci tutti in prigione, facendoci
camminare sulla Cumana fino a Nisida.
Ma soprattutto ci ha dimostrato la forza delle idee. I testi delle
canzonette di zio Edo sono di un’attualità disarmante. È meraviglioso e
terrificante constatare che, a distanza di oltre quarant’anni, le sue idee siano
ancora vive e forti, merito delle idee stesse ma anche del fatto che, in quarant’anni,
non è cambiato niente. E fa bene, Edoardo Bennato, a riproporre con convinzione
e con nuova forza musicale quei pezzi antichi e moderni, perché mai come ora c’è
bisogno di teste libere, di pensieri liberi, di saper volare per guardare dall’alto
i draghi del potere e non averne più paura, perché sono di cartone. Lunga vita a
Bennato, lunga vita alle teste pensanti.
Luca Craia
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