Parliamo di strategia della desertificazione da mesi, avendo avuto fin
da subito la nettissima sensazione che non ci fosse solo incapacità e
inettitudine nei ritardi incommensurabili con cui la macchina dell’emergenza
prima e della ricostruzione poi si è mossa e si muove. A confortare questa
nostra tesi Sandro Polci, che ha scritto, bontà sua, un libro, ''I
Borghi Avvenire, visioni possibili per nuove economie'', di cui una parte è
dedicata alle aree del sisma e al loro futuro.
Polci
afferma che è “ingannevole” pensare di ricostruire tutto com’era perché parliamo
di zone ad elevato rischio sismico, quindi bisogna ragionare sul trasferimento
delle popolazioni in aree meno pericolose. Non dice però dove, pur parlando di “paesi
contigui” che, essendo contigui, presentano lo stesso grado di rischio di
quelli da cui ci si sposta, a meno che non si pensi a zone contigue come la
Svizzera. Secondo l’architetto sarebbe inutile ragionare su “macerie rimosse in
frazioni centesimali, alloggi temporanei presenti per frazioni centesimali,
speranza e forza dei residenti rimaste in frazioni centesimali".
Ed
ecco la teoria della desertificazione: “Tra dieci anni - spiega Polci - secondo
l'aspettativa di vita nei comuni del cratere (oltre 584 mila abitanti) avremo
il 15% di morti di vecchiaia e circa il 37% di over 65. Si prospetteranno cioè
esigenze funzionali e di servizio diverse, mentre la popolazione giovane avrà
maturato abitudini nuove in altri luoghi, che forse difficilmente abbandonerà”.
Eccoci qua, la spiegazione è servita: è inutile investire in aree destinate
allo spopolamento perché i vecchi moriranno e i giovani andranno a operare
economicamente altrove.
Polci
una cosa sensata la dice, quando afferma che bisogna investire sui “simboli culturali,
sociali e religiosi” e su una formula turistica che preveda accoglienza e servizi
all’avanguardia, ma sbaglia quando sconsiglia di investire nelle seconde case e
in “abitazioni dove si va sempre meno e sempre in meno persone'', denunciando
così una scarsa conoscenza della struttura sociale dei luoghi di cui parla.
Purtroppo,
però, quello che dice l’architetto Polci si sta realizzando: lo vediamo a
Ussita o a Castelsantangelo, dove nulla si sta muovendo se non la polvere
spostata dal vento. Le teorie enunciate dal libro di Polci trovano lì la loro
realizzazione pratica e se Visso potrà avere un futuro come polo centrale del
territorio, i piccoli borghi, le “frazioni millesimali”, sembrano destinati a
morire perché la politica in atto è cieca di fronte all’esigenza di ricostruire
un tessuto sociale distrutto dal sisma, tessuto sociale che, economicamente,
non è interessante per i ragionamenti sul futuro dell’area. È a questo che
bisogna opporsi con forza.
Luca Craia
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