martedì 6 giugno 2017

Totò e la morte (dignitosa)




Non capisco perché serva una sentenza della Cassazione per stabilire che un uomo abbia diritto a una morte dignitosa; qualsiasi uomo, intendendosi per uomo la scimmia antropomorfa glabra, presumibilmente dotata di anima immortale e di cattiveria pura, capace di grandi genialità e di immense nefandezze quando non di vite anonime destinate all’oblio. Eppure, se la Cassazione dice questa ovvietà si scatena un pandemonio.
Forse il pandemonio è dovuto al fatto che questo pronunciamento della Suprema Corte è diretto a un caso specifico. E il caso specifico riguarda un detenuto condannato al massimo della pena, una condanna che, eccezionalmente, in uno Stato il cui diritto punta alla rieducazione del detenuto, si esplica nella sola punizione estrema senza possibilità di redenzione e recupero del detenuto. Questo è l’ergastolo: una società civile, che ripudia l’omicidio e, conseguentemente, la pena di morte, punisce il reo di atti estremamente gravi con una pena che è la morte sociale della persona, la sua reclusione a vita senza possibilità di reinserimento sociale. Ebbene, secondo la Cassazione, anche questo tipo di detenuto è un uomo e, in quanto tale, meritevole di morte dignitosa. Non ci trovo nulla di scandaloso.
Il punto è che, probabilmente, il pronunciamento della Corte Suprema porterà a una richiesta di scarcerazione per motivi di salute, richiesta che, molto probabilmente, verrà accolta. In questo modo vedremo una bestia, un uomo che la società ha espulso perchè autore di gesti di tale gravità da non poter essere più ritenuto parte della società stessa, uscire di prigione e smettere di scontare quella pena che ha meritato per gli orrori commessi. E questo repelle la nostra coscienza, il nostro senso di giustizia, mette in crisi la nostra stessa moralità. È assolutamente inaccettabile che quest’uomo possa uscire di prigione e tornare a vivere, o a morire, come uno che non ha fatto nulla di male.
Però Totò Riina, perché è di lui che sto parlando, è un uomo. È un uomo ignobile, vomitevole, degno di tutto il disprezzo del mondo, ma è un uomo e, in quanto tale, ha il diritto di morire dignitosamente. E non conta se egli non abbia rispettato lo stesso diritto di cui erano in possesso le sue vittime. La società che si dice civile non può equipararsi a un carnefice e deve rispettare i principi che la rendono, appunto civile. Ma Totò Riina dovrebbe morire dignitosamente senza uscire di prigione. Ed eccolo, il vero problema: la dignità dell’uomo in prigione. Questa è la domanda che dovremmo porci: perché un uomo, per morire dignitosamente, deve uscire di prigione? Perché un uomo, in Italia, non può morire dignitosamente in prigione?
Questa sarebbe la giusta battaglia da combattere, il giusto motivo di indignazione, più alto di quello, legittimo, per l’eventuale scarcerazione di un mostro. La dignità dell’uomo detenuto. Perché, se Riina non merita redenzione, chi ha commesso reati meno gravi ne ha il diritto, così come ha il diritto a essere reinserito in società. Il caso di Riina, l’affermazione conseguenziale che attesta l’impossibilità per un uomo di morire in prigione con dignità, stabilisce che in prigione non vi sia dignità per l’uomo. E questo è gravissimo.

Luca Craia

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