Non capisco perché serva una sentenza della Cassazione per stabilire
che un uomo abbia diritto a una morte dignitosa; qualsiasi uomo, intendendosi
per uomo la scimmia antropomorfa glabra, presumibilmente dotata di anima
immortale e di cattiveria pura, capace di grandi genialità e di immense
nefandezze quando non di vite anonime destinate all’oblio. Eppure, se la
Cassazione dice questa ovvietà si scatena un pandemonio.
Forse il pandemonio è dovuto al fatto che questo pronunciamento della
Suprema Corte è diretto a un caso specifico. E il caso specifico riguarda un
detenuto condannato al massimo della pena, una condanna che, eccezionalmente,
in uno Stato il cui diritto punta alla rieducazione del detenuto, si esplica
nella sola punizione estrema senza possibilità di redenzione e recupero del
detenuto. Questo è l’ergastolo: una società civile, che ripudia l’omicidio e,
conseguentemente, la pena di morte, punisce il reo di atti estremamente gravi
con una pena che è la morte sociale della persona, la sua reclusione a vita
senza possibilità di reinserimento sociale. Ebbene, secondo la Cassazione, anche
questo tipo di detenuto è un uomo e, in quanto tale, meritevole di morte
dignitosa. Non ci trovo nulla di scandaloso.
Il punto è che, probabilmente, il pronunciamento della Corte Suprema
porterà a una richiesta di scarcerazione per motivi di salute, richiesta che,
molto probabilmente, verrà accolta. In questo modo vedremo una bestia, un uomo
che la società ha espulso perchè autore di gesti di tale gravità da non poter
essere più ritenuto parte della società stessa, uscire di prigione e smettere
di scontare quella pena che ha meritato per gli orrori commessi. E questo
repelle la nostra coscienza, il nostro senso di giustizia, mette in crisi la
nostra stessa moralità. È assolutamente inaccettabile che quest’uomo possa
uscire di prigione e tornare a vivere, o a morire, come uno che non ha fatto
nulla di male.
Però Totò Riina, perché è di lui che sto parlando, è un uomo. È un
uomo ignobile, vomitevole, degno di tutto il disprezzo del mondo, ma è un uomo
e, in quanto tale, ha il diritto di morire dignitosamente. E non conta se egli
non abbia rispettato lo stesso diritto di cui erano in possesso le sue vittime.
La società che si dice civile non può equipararsi a un carnefice e deve
rispettare i principi che la rendono, appunto civile. Ma Totò Riina dovrebbe
morire dignitosamente senza uscire di prigione. Ed eccolo, il vero problema: la
dignità dell’uomo in prigione. Questa è la domanda che dovremmo porci: perché un
uomo, per morire dignitosamente, deve uscire di prigione? Perché un uomo, in
Italia, non può morire dignitosamente in prigione?
Questa sarebbe la giusta battaglia da combattere, il giusto motivo di
indignazione, più alto di quello, legittimo, per l’eventuale scarcerazione di
un mostro. La dignità dell’uomo detenuto. Perché, se Riina non merita
redenzione, chi ha commesso reati meno gravi ne ha il diritto, così come ha il
diritto a essere reinserito in società. Il caso di Riina, l’affermazione
conseguenziale che attesta l’impossibilità per un uomo di morire in prigione
con dignità, stabilisce che in prigione non vi sia dignità per l’uomo. E questo
è gravissimo.
Luca Craia
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