Dopo la pazienza, finita dopo mesi di speranza per una ricostruzione
che non è partita e ancora non parte, ora è finita anche la rabbia. Quella
rabbia che portava i terremotati a Roma, che muoveva iniziative di protesta,
che faceva formare comitati, che gridava lo sdegno per il calpestio delle anime
e delle dignità subito da chi già aveva fatto i conti con la furia della
natura, oggi sta sciamando, per lasciare il posto a tanti rivoli di
rassegnazione, come dopo la tempesta rimangono quei rigagnoli d’acqua per le
strade a scorrere via verso il mare grande delle ingiustizie.
Oggi ognuno gestisce la propria, di rabbia. E questa, trovato il
rimbalzo sbattendo col muro gommoso delle Istituzioni, si incanala nella difesa
del proprio, sia esso l’orto, il campanile, l’interesse. È una rabbia
rassegnata, che porta a smettere di combattere senza smettere di digrignare i
denti, che porta a cercare di salvare il salvabile, se qualcosa è ancora
salvabile, accorciando la mira, lo sguardo, la visione. Sono rimasti pochi a
combattere, io li conosco. Ci sono ancora sindaci in prima linea con la
baionetta in canna, ci sono cittadini ancora più arrabbiati perché quelle
istanze legittime e lampanti non solo non sono state ascoltate dal potere ma
non vengono più comprese nemmeno da chi le dovrebbe condividere in quanto sono
anche sue.
È il gioco del potere, quello di dividere, di mettere gli uno contro
gli altri, quelli con la casa contro quelli senza casa, i residenti contro i
non residenti, quelli di qua contro quelli di là, quelli con la tessera di
partito contro tutti gli altri che la tessera nemmeno la pensano. Il potere fa
quello che vuole, ha abilmente gestito non l’emergenza ma il dolore e ora lo
usa, strumento formidabile per il disegno in corso. E neanche le voci come la
mia, come quella di qualche giornalista coraggioso, di qualche temerario
organizzatore di folle sciamate possono più fare tanto se non prendere atto
della fine della benzina.
Il potere sa come gestire questo momento, è quello su cui ha
lavorato per mesi: gli sfollati smembrati, disintegrati e dispersi, quelli
rimasti lasciati a marcire tra le macerie, gli amministratori locali non
allineati indotti alle dimissioni o a combattere battaglie solitarie,
guardandosi le spalle anche dal sedicente alleato, gli indottrinati sempre più
forti perché gli altri, alla fine, cedono. Qualcuno più scaltro intravede delle
opportunità: politiche, economiche, di prestigio personale. Gli altri mettono
in tasca la rassegnazione, la constatazione di mesi di lotta spesi per ottenere
niente. Le macerie ancora per le strade, le zone rosse ancora chiuse, le
casette che verranno, sì, ma quando verranno non si sa. Un territorio
smembrato, mortificato, impoverito. Il disegno di desertificazione si sta
compiendo. È stato progettato bene, perché sembrano stolti ma non lo sono o,
almeno, non è stolto chi ha voluto e progettato tutto questo.
Provo solo nausea per lo sciacallo, non quello che ruba tra le macerie
ma quello che ruba il futuro e, facendolo, brucia anche il proprio. Scusate lo
sfogo amaro, spero possa servire a smuovere qualche coscienza e a far ripartire
qualche piccola reazione.
Luca Craia
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