Sono passati
oltre due anni dall’annuncio della partenza di uno studio da parte dell’Università
di Camerino, cospicuamente finanziato con fondi pubblici, che si proponeva di
approfondire scientificamente le teorie che spiegherebbero la notevole presenza
di testimonianze carolinge nel territorio piceno con una revisione storica circa
la Francia alto medievale. Sono teorie nate dagli studi di don Giovanni
Carnevale, il Salesiano che da circa un trentennio si dice convinto che l’Aquisgrana
carolingia non sia collocabile ad Aachen, in Germania, come la storia ufficiale
ritiene, ma in Val di Chienti, e precisamente a San Claudio di Corridonia.
È dalle
teorie di Carnevale che si muove un filone di studi, portati avanti da amanti
della storia e appassionati ma, fin qui, mai suffragati dall’appoggio
accademico. Lo studio annunciato dall’Unicam fu salutato dall’ambiente in
maniera positiva, anche se si rimarcò, all’epoca, che mai una volta era stato
citato il capostipite della teoria, Giovanni Carnevale, appunto, in una sorta
di oblio censorio. Il fatto che l’Università si occupasse della teoria dei
Carolingi in Val di Chienti era ritenuta, comunque, un passo avanti, anche se
ci si sarebbe aspettata una collaborazione con chi questa teoria la portava
avanti da anni, cosa che non c’è stata.
Il punto è
che, a distanza di così tanto tempo, non c’è stata non solo la collaborazione
ma nemmeno la comunicazione degli sviluppi di questi studi che, in due anni e
oltre, è lecito ritenere siano andati avanti. In realtà lo scorso anno era
stata convocata una conferenza per fare il punto, ma gli appassionati recatisi
a Camerino per assistervi trovarono le porte chiuse. Da allora si è sentito
soltanto un grande silenzio.
Credo quindi
che sia legittimo chiedersi oggi che fine abbia fatto l’equipe del professor
Gilberto Pambianchi che doveva occuparsi degli studi, e quei finanziamenti
ottenuti allo scopo come siano stati utilizzati. Per una questione di chiarezza
e trasparenza, è forse il caso di fare finalmente il punto e comunicarlo al
pubblico, perché il sapere, chiuso dentro le mura dell’ateneo, è cosa medievale
e poco utile alla comunità culturale del ventunesimo secolo.
Luca
Craia
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