giovedì 29 dicembre 2016

Barbabietole, botti di capodanno e ipocrisia.

Quando, qualche anno addietro,  l’Unione Europea decretò, per motivi a noi Italiani imperscrutabili, la fine della barbabietola da zucchero in Italia, della sua coltivazione e della sua lavorazione,  nessuno fece un fiato. Nessun ricorso al TAR del Lazio, nemmeno a quello del Molise, manco a quello delle Marche. Eppure erano migliaia gli Italiani a campare su questa piccola – ma non tanto – economia rurale e industriale: coltivatori, aziende specializzate nella raccolta e nella semina, con macchinari che richiedevano investimenti ingenti, almeno per le loro economie. Poi c’erano gli zuccherifici che davano lavoro a schiere di operai, per non dimenticare gli autotrasportatori. In poco tempo fini tutto, senza proteste, senza ricorsi. Gli imprenditori contarono le perdite, gli operai trovarono altri posti di lavoro, i contadini altre coltivazioni e i camionisti altre merci da trasportare. E le barbabietole, a parte i miasmi della raffinazione a fine estate, non rompevano le scatole a nessuno.
Non si capisce allora oggi perché dobbiamo stracciarci le vesti per i botti di fine anno. È vero, c’è un’economia di un certo peso. A fronte, però, ci sono danni enormi alle persone e all’erario, con ospedali pieni e mutilazioni varie quando non tumulazioni. Credo che vietare i fuochi artificiali sia dimostrazione di civiltà e volontà di evolversi. Mi dispiace per gli imprenditori che ne possano subire perdite o per le conseguenze sull’occupazione. Ma qualcuno mi spieghi perché il Partito dei Lavoratori oggi si erge a difensore di poche centinaia di addetti e all’epoca della fine della barbabietola tranquillamente tacque.

Luca Craia

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