mercoledì 7 settembre 2016

La badante



Sta lì seduta sulla panchina dei giardini, tutta sola, col telefono in mano a mandare messaggi Whatsapp a casa, quella casa lontana anni luce, anni tempo, lingue diverse, treni e aerei da prendere, soldi da mettere da parte per far studiare il figlio, per curare la vecchia madre, per mantenere il marito senza lavoro, per permettersi un breve viaggio di ritorno.
Una solitudine fatta di amiche sole come lei, con le quali ridere per non piangere e condividere panchine e sigarette, bicchieri di liquore forte e malinconia. Una solitudine fatta di giornate lavorative che arrivano fino alla notte, di sonni lavorativi e senza sogni o con sogni da dimenticare prima del risveglio. Nostalgie strazianti ignorate tra le faccende domestiche e le cure alla persona affidata, lacrime ricacciate indietro e una durezza di cuore imposta e necessaria che non è mai dura abbastanza.
Quello sguardo fisso sullo schermo, in attesa della risposta all’ultimo messaggio, quello schermo che apre una porta verso l’est, quel Facebook che mostra le immagini della sua vita lontana che non è più la sua vita perché lei è qui, su quella panchina, a respirare un sorso di aria pulita prima di rientrare in quelle stanze odorose di medicine, di chiuso e di malattia.
L’occhio lucido, forse la lacrima repressa di una donna che non può permettersi la tristezza, solo una vaga malinconia di fondo, quando il telefono vibra e appaiono quelle parole, il saluto di un figlio, l’abbraccio virtuale di un marito, ad annullare quei chilometri cicatrizzati nel cuore.


Luca Craia

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