venerdì 10 gennaio 2014

I Racconti della Marca Bassa - Giù dai monti




Marino arrivò in paese alla fine degli anni cinquanta con due paia di scarpe e una valigia di cartone.  Arrivò dalla montagna attratto, come tanti a quell’epoca, dalla possibilità di lavoro e ricchezza che l’incipiente miracolo economico. Arrivò per evitare una vita da contadino a tirar via pietre da un campo arso e avaro. Arrivò con la speranza o certezza di un avvenire migliore. Molte famiglie del paese in quel periodo affittavano camere a pensione a questi ragazzotti montanari un po’ rustici ma bravi e Marino si accasò da Nanni pattuendo un fitto equo per entrambi. Un suo parente, cugino della madre, che era arrivato qualche anno prima e che aveva messo su famiglia, gli aveva trovato un posto da garzone in fabbrica. Non sapeva fare nulla Marino, non aveva la minima idea di come si facesse una scarpa, ma aveva mani buone, buona volontà e capacità di apprendere veloce. Così gli fu facile pagarsi la pensione, il mangiare, e qualche panno per vestirsi un po’ più decente di quelli che s’era portato dietro dalla montagna.
Quelli del paese trattavano con la dovuta diffidenza i forestieri venuti a trovare lavoro, un po’ come oggi trattiamo gli immigrati e gli extracomunitari. Marino, però, era di carattere giocoso, buono di indole e di spirito pronto. E poi il suo accento era sì leggermente montanaro ma non più di tanto, cosicché dopo qualche settimana già non si capiva quasi più che fosse “di fuori”.  Non gli ci volle molto quindi per farsi amici dei giovani del posto. E cominciò a frequentare delle ragazze. A quell’epoca queste cominciavano ad emanciparsi, le gonne si accorciavano, gli abiti si facevano colorati e i caratteri più aperti. Così nella comitiva di Marino ce n’erano due o tre mica male. Carine, simpatiche e senza tanti pregiudizi.
Lorella era forse la più bellina, con quell’aria da ragazzetta e gli occhi maliziosi. A Marino piaceva proprio e sembrava che anche lui non le fosse del tutto indifferente. Lorella era figlia di operai ed aveva studiato fino alla terza media. Per Marino, che s’era fermato alla quinta elementare, era intelligente e colta oltre che bellissima. Non c’era mai stato nulla tra loro se non qualche battuta e un ballo ad una festa, ma già Marino fantasticava di matrimoni. E così sapeva che non era cosa facile, operai tutti e due, con la sua famiglia che dalla montagna certo non avrebbe potuto aiutare più di tanto e quella di lei che tanto meglio non se la passava: sette figli e uno stipendio.
Mimma era una ragazza bruttina, un po’ in carne, col seno prosperoso ma le gambe grosse e tozze. Aveva gli occhi azzurri ma lo sguardo cattivo. Mimma era figlia di famiglia benestante, commercianti i suoi, e aveva solo due fratelli. Aveva una bella dote e delle belle prospettive. Aveva anche una cotta micidiale per Marino che, però, non se ne avvedeva né, anche nel caso se ne fosse reso conto, avrebbe avuto alcun interesse, innamorato ormai di Lorella. Ma Mimma era ragazza tenace e quando voleva una cosa era abituata ad ottenerla. Così una sera, ad una festa che Marino aveva un po’ esagerato col vino, Mimma ottenne quello che voleva o, almeno, credette di ottenerlo.
L’atto fu consumato in un campo appena fuori le mura. Mimma toccò il cielo con un dito. Marino al mattino sì e no che se ne ricordava. Ma dovette ricordarsene presto perché il grembo di Mimma cominciò a lievitare e quei tempi su queste cose non si scherzava mica. Cominciarono subito i preparativi per il matrimonio. La famiglia di lei la prese piuttosto bene, considerando che la figlia difficilmente potesse puntare ad un partito migliore bruttina e sgraziata com’era. E poi il montanaro non era affatto male: bravo, educato e pure caruccetto. La famiglia di Marino non disse né a né o. L’unico chiarimento che il padre di Marino tenne a precisare fu che loro non avevano una lira e che il figlio si doveva arrangiare. Il padre della ragazza aveva una casa sfitta e la fece ripulire e risistemare per la figlia. Per il futuro genero aveva pronto un posto in bottega. I fratelli della sposa picchiarono un paio di pettegoli che avevano da fare battute sulla gravidanza della di loro sorella e tutte le chiacchiere di paese cessarono.
Ma Marino non era affatto felice e quando per strada incrociò Lorella e questa non lo salutò abbassando lo sguardo si sentì morire. Prese la lambretta che s’era comprato con i primi risparmi e andò a casa in montagna. Suo fratello maggiore gli disse la sua: non doveva sposarsi se non voleva. E quanto Marino gli disse che i fratelli della sposa l’avrebbero massacrato il suo di fratello gli consigliò di scappare a Milano, dallo zio Paolo che da anni viveva lì ed aveva un’avviata attività di commercio. Marino manco se lo ricordava lo zio, ma prese il telefono pubblico del bar della piazza e, armato di coraggio e disperazione, telefonò allo zio Paolo raccontandogli la sua tragedia. Lo Zio si disse più che disponibile di ospitarlo. Marino non tornò al paese ma andò diretto alla stazione e prese il primo treno per Milano.
La settimana successiva il caso del montanaro scomparso rimbalzata di porta in porta nel paese. Non si parlava d’altro e non c’era minaccia di botte o ghigni duri dei ragazzotti fratelli di Mimma per calmare lo scandalo. Nessuno sapeva dove fosse Marino ma sembrava evidente che fosse scappato. La Lambretta era stata notata davanti alla stazione e quello era chiaro indizio di fuga, non di disgrazia. I fratelli della sposa erano a dir poco infuriati: occorreva trovarlo e occorreva riportarlo a casa a fare il suo dovere. E la cosa che li imbestialiva di più è che, se l’avessero trovato, nemmeno potevano spezzargli le ossa: dopotutto era loro cognato. Ma una bella ripassata senza fratture gliel’avrebbero data, signorsì.
Furono interrogati i familiari di Marino e questi negarono di sapere dove il ragazzo fosse. Anzi, si dissero preoccupati per la sua sorte. Anche il fratello maggiore, architetto della fuga, si dimostrò ignaro delle sorti del promesso sposo. Promesso sposo che, intanto, a Milano s’era piazzato a casa dello zio che l’aveva accolto come un figlio e gli aveva dato pure un lavoro e uno stipendio passabile.
Passarono così due mesi, mesi in cui la pancia di Mimma lievitava e le chiacchiere non si assopirono. I fratelli della sposa non erano persuasi del fatto che i familiari del futuro cognato non sapessero nulla e tornarono in montagna. Trovarono il fratello di Marino a riposare seduto vicino la stalla. Anziché prenderlo con le cattive tentarono la carta del benessere e gli proposero di venire a sua volta a lavorare al paese, che loro lo avrebbero aiutato a trovare un buon posto e una buona casa e a patto che egli li avesse aiutati a sua volta a ritrovare il fratello in fuga. Fatto sta che in montagna cominciava a starsi davvero male. La campagna produceva poco, il lavoro era duro e il padre stava invecchiando e non era più quello di una volta. La proposta allettò il fratello di Marino. Si fece promettere che non sarebbe stato torto un capello allo sposo e spifferò tutto.
Marino tornò in paese senza fratture ma con qualche livido sotto i vestiti, dove non si vedeva. Se ne accorse solo Mimma quando lo abbracciò piena di gioia per averlo ritrovato e lo sentì lamentarsi quando lo strinse a sé. Si sposarono dopo due settimane. Ebbero il bambino che Mimma aveva in grembo e altri quattro figli. Vissero insieme tutta la vita e, a quel che si sa, marino fu marito fedele. Mimma lo fu per forza di cose dato che il tempo non fu affatto clemente con la sua già avanzata bruttezza. Marino non parlò più col fratello.

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